Page 57 - Potere criminale
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di trattare con chiunque e utilizzare qualsiasi metodo. L’assassinio di Gaspare Pisciotta, luogotenente
e, a sua volta, assassino di Giuliano, può essere mosso dall’intento di coprire o l’uno o l’altro o
entrambi. Da qui la celebre frase pronunciata da Pisciotta al processo di Viterbo: «Siamo una cosa
sola banditi, mafia e polizia, come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo».
S. È questo l’intrigo fondante tra potere politico e mafia, il patto scellerato e originario?
L. Forse anche questo, ma non solo. Ci sono forze politiche e sociali, clientele, famiglie interessate a
transitare dalla vecchia alla nuova Sicilia. Ci sono intrighi occulti sì, ma anche fenomeni palesi. Ci
sono nella Sicilia occidentale gruppi mafiosi desiderosi di restare in contatto con proprietari e
politici, a loro volta in cerca di una strada. Ci sono apparati di sicurezza già operanti sotto il
fascismo, consapevoli di una storia ancora precedente, abituati a servirsi dei mafiosi, a metterli gli
uni contro gli altri, a vantarsi di un ordine restaurato in barba a ogni principio di legalità. Basterebbe
pensare al commissario Aristide Spanò, già principale collaboratore di Mori. Basterebbe pensare al
commissario Ettore Messana o al colonnello Ugo Luca, entrambi fortemente interessati a ottenere, a
ogni costo, la testa di Giuliano.
S. Come mai la Dc accetta, apparentemente senza apprezzabili resistenze interne, l’accordo con pezzi di classe
dirigente legati alla mafia? Solo Giuseppe Alessi, uno dei fondatori della Dc siciliana, in un suo libro di memorie
racconta che cercò di opporsi all’ingresso nella Dc della mafia del Vallone, cioè i gruppi che facevano riferimento a
Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo...
L. Veramente proprio Vizzini e Genco Russo erano popolari, ovvero cattolici, già nel dopoguerra
precedente. Alessi la racconta pro domo sua. Immagino che molti elementi della Dc abbiano lavorato
affinché l’impatto non fosse condizionante più del dovuto. Molti di loro non pensavano nemmeno
di creare un problema di lungo periodo: chi pianifica una politica non sempre sa o può essere
consapevole di tutti i suoi effetti. Bernardo Mattarella, un politico moderno, di un certo livello, era
stato popolare e antifascista, ma era un notabile di Castellammare del Golfo e può darsi ritenesse
necessario, e non poi così grave, tener conto anche degli interessi mafiosi. Ma questo non lo
sapremo mai, perché la Dc non ci lascia archivi e non riusciamo a fare una storiografia professionale.
Rischiamo di doverci fidare della memoria «interessata» di un personaggio, certo di elevato profilo,
come Alessi.
S. Tentativi di infiltrazione e di condizionamento mafiosi si verificarono anche verso il Pci.
L. Un caso clamoroso – documentato dalla ricerca di uno studioso locale, Calogero Castronovo – si
verificò a Favara, dove nel gruppo dirigente comunista c’erano dei mafiosi, tali per curriculum, per
precedenti penali e per relazioni familiari, accusati di aver assassinato il sindaco socialista Gaetano
Guarino. Ma il Pci era un partito supercentralistico: lavorò duramente, e credo efficacemente,
all’epurazione. Presumo d’altronde che si trattasse di fenomeni e situazioni abbastanza marginali.
S. Ma perché elementi così compromessi si rivolgevano al Pci, nonostante fosse un partito all’opposizione?
L. Per controllare il potere locale, ovviamente.
S. Significa che in politica, e non solo, la mafia non è conservatrice?
L. Di per sé non lo è. La tesi della mafia naturalmente conservatrice è figlia della tesi della mafia
necessariamente arcaica. La mafia si muove con la società e con la storia, si cerca gli spazi disponibili
e non rifugge da alcuna alleanza o occasione di profitto. Chi non lo capisce, finisce prima per
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