Page 59 - Potere criminale
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Gli anni ruggenti














           Gaetano Savatteri Doveva essere ancora bella Palermo negli anni Cinquanta: una città armoniosa, con i suoi
           boulevard, le sue ville liberty, il mare di fronte e alle spalle i giardini d’agrumi della Conca d’Oro. Sopravvivono
           fotografie e vecchi ricordi.

           Salvatore  Lupo  Bella  era  bella,  Palermo.  Ma  anche  povera  e  sfregiata  dai  bombardamenti  nel  suo

           straordinario centro storico, che non si sarebbe ripreso più. Fu lasciato deperire perché si sentiva il
          bisogno  di  costruire  un  moderno  tessuto  urbanistico,  di  dare  risposta  alla  domanda  crescente  di
          moderne abitazioni. La città, non lo dimenticare, aveva riconquistato il suo ruolo storico di capitale
          con la nascita della Regione. Voleva essere all’altezza.

          S. La Regione, già. Cosa porta di nuovo?

          L. Tanta speranza e qualche sproporzionata ambizione della classe dirigente regionale di lavorare alla
           «rinascita»  della  Sicilia,  ovvero  a  un  riequilibrio  col  resto  d’Italia.  La  parte  migliore  della  classe

           politica si identifica con i tre partiti di massa e viene dall’interno dell’isola, mentre nelle grandi città
           della costa – Catania, Messina e appunto Palermo – ci si affida pigramente ai rimasugli di una destra
           di sapore prefascista, liberale o monarchica.

           S. Fu a questo punto che i mafiosi si mossero dalle campagne decisi a conquistare la città, per ricavarne denaro e
           potere. E si aprì la stagione terribile del sacco di Palermo: speculazione edilizia, cemento e denaro con la complicità
           delle  amministrazioni  comunali,  che  in  una  sola  notte,  magari  quella  di  Capodanno,  rilasciavano  cinquemila

           licenze edilizie a un paio di prestanome delle cosche. Questa è la storia per come viene abitualmente raccontata...

           L.  Ma  non  viene  raccontata  nella  maniera  giusta.  La  mafia  del  sacco  edilizio  è  palermitana,  più
           tradizionalmente  legata  agli  interessi  delle  élites  fondiarie  delle  borgate  e  dell’hinterland,  le  cui
           aziende  ha  sempre  controllato  attraverso  una  rete  di  intermediari  commerciali  e  di  guardiani.
           Parliamo di una dialettica interna alla città stessa, che si ingigantisce, ingloba le borgate, «divora» il
           suo  hinterland  agricolo.  Parliamo  di  un  mutamento  che  per  certi  versi  valorizza  i  caratteri  di

           continuità del fenomeno e tra essi il meccanismo del controllo territoriale. La mafia e i suoi referenti
           borghesi  fanno  valere  la  loro  antica  rendita  di  posizione,  vogliono  fermamente  usufruire  del
           vertiginoso aumento di valore di terreni che da sempre presidiano. Si crea un pulviscolo di imprese
           edilizie  prive  di  capitali  e  know-how,  come  l’impresa  del  carrettiere  Francesco  Vassallo,  in  buona
           sostanza una sorta di cooperativa della mafia stessa e dei suoi protettori politici.

           S. Perché allora l’insistenza del dibattito pubblico sul trasferimento della mafia dal latifondo alla città?


           L.  Perché  in  questo  modo  si  tiene  ferma  l’idea  (sbagliata)  che  tutto  origini  da  una  mafia
           «tradizionale», espressione di una società rurale-arcaica e mero strumento di un potere proprietario
          latifondistico.  Invece  c’è  una  dimensione  cittadina  fondante  della  fenomenologia  mafiosa  e  che
          palesemente si ripropone – in una mutata situazione e confrontandosi con nuove opportunità – negli
          anni Cinquanta.



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