Page 15 - Potere criminale
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S. I vertici: non sarà esagerato?
L. Ti racconto un episodio. All’inizio degli anni Ottanta facevo ricerca su mafia e fascismo,
sull’operazione repressiva che prende il nome dal prefetto Cesare Mori, e fu naturale che domandassi
di consultare il materiale documentario conservato all’Archivio di Stato di Palermo. Mi ricevette un
funzionario – non facciamo il nome –, il quale mi comunicò che il materiale non era consultabile.
«Sì, lo so – risposi – la legge prevede che gli studiosi non possano accedere a una certa tipologia
documentaria, se non dopo settant’anni; però per un altro tipo di documenti prevede solo un limite
di cinquant’anni, e in questo caso ci siamo». E lui: «Ma io non le farò vedere niente lo stesso». Allora
ingenuamente replicai: «Ma ci sono delle leggi». E il funzionario rispose: «Lei può anche venire con
i carabinieri, ma le farò trovare le buste vuote». Ero giovane, non sarei mai andato dai carabinieri e il
funzionario lo sapeva benissimo, ma questo suo enfatico disprezzo per la legge, per chi ne invocava
l’applicazione e per chi eventualmente era chiamato ad applicarla mi parve sintomatico. Qualcun
altro – accade spesso che gli archivisti siano troppo prudenti nel far vedere le carte, non volendo guai
– avrebbe detto: «Sì, vedremo... però purtroppo c’è stato l’incendio, c’è stata la guerra, c’è stata
l’alluvione, le carte si sono perse». Mi avrebbe fatto perdere dieci giorni, e alla fine mi sarei
scoraggiato. Mi è successo in altri posti, ma nessuno mi ha replicato con l’enfasi e la chiarezza con
cui mi è stato risposto a Palermo. E sai perché? Perché quel funzionario pensava di avere ragione.
Allora gli studiosi della mafia ragionavano di codici culturali, di comportamenti, insomma di
concetti e principi piuttosto vaghi e vagamente connessi allo specifico del problema. Una ricerca
archivistica avrebbe portato alla luce nomi, persone, fatti. Anche falsi e calunnie, certo: lettere
anonime, rapporti di polizia con accuse infondate, e polemiche in cui avversari politici o personali
venivano definiti mafiosi. Quanto alle accuse e alle polemiche fondate, molte volte ho trovato
coinvolti nei fatti di mafia i nonni di autorevoli esponenti dell’élite palermitana, gente in effetti
perbene, anche schierata sul fronte antimafia. Il funzionario pensava che questo verminaio non
andasse scoperchiato, checché ne dicesse la legge. Lui si sentiva in buona fede, e sospettava che io
non lo fossi. Che uso avrei fatto di informazioni che per il bene di tutti non andavano rese
pubbliche?
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