Page 13 - Potere criminale
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funziona e hanno ragione: funziona nel tenere il segreto all’interno, nel garantire forme di solidarietà
tra la società dei mafiosi e la società tout court, nel rassicurare le autorità, nel far pensare a tutti che
infine l’attività degli uomini d’onore possa essere tollerata, anzi possa essere addirittura utile. E
funziona sia quando gli altri pensano che una cosa così arcaica non finirà mai, sia quando ritengono
che sia troppo arcaica per poter sopravvivere nell’oggi.
S. Capisco bene la regola che non bisogna tradire la moglie, che non bisogna assumere droghe. Sono regole morali,
ma soprattutto regole di sicurezza di un’organizzazione segreta. Perché chi è esposto sentimentalmente, chi è in
una situazione di debolezza per gli stupefacenti è più fragile rispetto alle esigenze di compartimentazione
dell’associazione...
L. Ma non è solo per quello...
S. E allora per quale ragione? Parlavamo del giuramento della massoneria o delle regole morali della Chiesa, due
realtà che fanno riferimento a un patrimonio spirituale. Per la mafia esiste qualcosa di simile, un patrimonio
morale o etico, un’ideologia insomma?
L. La mafia ha interesse a essere credibile. La gente normale pensa che non si debba tradire la moglie,
o perlomeno la regola accettata da tutti è che la moglie non andrebbe tradita. Allo stesso modo, è
convinzione comune che le droghe facciano male. Cosa Nostra ha interesse a negare il proprio
coinvolgimento nel commercio di droga, perché parliamo di un elemento distruttivo della relazione
sociale tradizionale – ciò di cui la mafia pretende di essere tutrice. E qui vengo alla tua domanda.
Possiamo dire che la mafia abbia in effetti una sua ideologia. Pretende di far funzionare la società
valorizzando la famiglia – e l’elemento gerarchico presente nella famiglia – e l’amicizia, o almeno la
cosiddetta «amicizia strumentale». E pretende che il sistema di relazioni solidaristiche di questa
natura funzioni meglio di leggi scritte come il codice civile o penale. La mafia non nega che tutti
barino, ma sostiene che i primi a barare sono i governanti, e dunque tanto vale farlo meglio di loro –
come facevano i Beati Paoli, una leggendaria setta palermitana sulla quale ci soffermeremo più
avanti, che per i mafiosi rappresenta il mito fondante e originario. Come dicevamo prima, i pizzini
di Riina non li abbiamo trovati, le intercettazioni di Riina non le abbiamo, però sono convinto – ed
esprimo qui una mia convinzione non basata su prove – che il gran capo corleonese queste stesse
cose dicesse ai suoi sodali. Ovviamente tutti, e Riina a maggior ragione degli altri, si comportano in
maniera diversa da come dicono, ma questo non cambia niente. Tutti dicono che non bisogna
tradire la moglie, però moltissimi la tradiscono. I mafiosi dicono che la loro società serve a
proteggere i deboli, ma la constatazione di fatto che al dunque conta solo la forza non vale a
confutare il loro pseudoprincipio generale. È tutto molto cattolico, veramente. Non c’è da stupirsi
che gli studiosi americani abbiano trovato molto difficile orientarsi in questo guazzabuglio.
S. Hai introdotto il tema spinoso delle relazioni tra religione e mafia, che meriterebbe un approfondimento a parte.
Mi limito a farti una domanda: perché il padrino ha bisogno di descriversi quasi sempre come un buon cattolico?
L. Perché il mafioso si sente cattolico. Di conseguenza, è ben difficile che la Chiesa gli rifiuti questa
qualifica che peraltro non nega a nessuno, neppure a me che cattolico non sono. Il mafioso si dice
cattolico perché la mafia ha un forte senso di sé e della propria storia. Appartiene al suo carattere –
dicono gli antropologi – di stare ben radicata nel proprio contesto socio-culturale, perché ha
bisogno di comunicare con la società. E nella società siciliana essere o apparire cattolici è molto
importante: ricordiamo che in dialetto si dice «cristiani» per indicare gli esseri umani. Per i mafiosi è
fondamentale condividere valori con chi mafioso non è.
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