Page 8 - Potere criminale
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trama nell’ombra e tutto decide. Può darsi che Riina fosse un uomo capace di dominare col
consenso e il terrore il sistema di imprese, di gruppi e di gang che noi chiamiamo mafia, nonché un
importante interlocutore per il mondo variegato che in qualche modo si connetteva con la mafia.
Ammesso comunque che Riina abbia detenuto un potere personale straordinariamente ampio, c’è
da chiedersi se questo non sia derivato da circostanze eccezionali. Dubito a maggior ragione che
Riina abbia avuto predecessori o successori, come Luciano Leggio e poi Bernardo Provenzano.
S. Se Riina non era il capo dei capi, chi era allora?
L. Va premesso un dato: il personaggio Totò Riina fu inquadrato negli anni Ottanta esclusivamente
sulla base di informazioni provenienti dai suoi arcinemici. Queste si sono rivelate molto attendibili
per svelare i suoi misfatti; non è detto lo siano altrettanto per quanto attiene alle sue motivazioni, ai
suoi argomenti, ai modi e ai limiti del suo potere.
S. Stai dicendo che disponiamo di fonti di seconda mano, spesso interessate a restituire un certo profilo di Riina?
L. Molto interessate, soprattutto nel caso del primo pentito di Cosa Nostra, quel Tommaso Buscetta
che rivelò cose talmente importanti, talmente innovative, talmente risolutive da indurre gli
inquirenti a non insistere sull’inverosimiglianza di alcune sue interpretazioni, in particolare di quelle
che riconducevano ogni «degenerazione» di Cosa Nostra alla ferocia e al sadismo di Riina.
S. Il risultato è che Riina appare come il boss sanguinario e spietato, mentre Provenzano si delinea come l’uomo
della mediazione, dopo la stagione insanguinata delle stragi...
L. Mi chiedo: se noi avessimo avuto a suo tempo gli strumenti di conoscenza di cui oggi
disponiamo, avremmo potuto attribuire a Riina un ruolo di analoga natura, il ruolo del mediatore
tra fazioni, gruppi, personaggi diversi? Non c’è bisogno di chiamare in causa la mia competenza di
storico di professione per spiegare che conosciamo attraverso le fonti. Ma le fonti non hanno tutte la
stessa credibilità e non è indifferente che si debba o si possa far ricorso all’una o all’altra. La
fisionomia dei boss di oggi ci viene delineata da intercettazioni telefoniche o ambientali e dai loro
stessi scritti: i famosi pizzini di Provenzano, composti a fini interni, hanno dunque un livello elevato
di credibilità. È appunto dai testi di Provenzano che noi traiamo l’impressione del grande mediatore,
della persona autorevole, legittimata dall’esperienza del passato. È possibile che, dopo le stragi e
l’arresto del suo compaesano Riina, Provenzano abbia tratto profitto anche da uno smarcamento più
o meno repentino nei confronti della vecchia linea. In fondo è un classico di sempre dei sistemi
politici: viene da pensare al ruolo che avrebbe potuto giocare Dino Grandi, se l’operazione da lui
avviata con la seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 fosse andata in porto, garantendo così
una transizione morbida dal fascismo al postfascismo. Provenzano consiglia, cerca di far sì che gli
affari vadano avanti senza che i conflitti degenerino in violenza e tanto meno in guerra aperta.
Catturato lui, un nuovo rischio di competizione si aprirà tra le fazioni guidate da Nino Rotolo e
Salvatore Lo Piccolo, relativamente alla questione del ritorno in Sicilia degli Inzerillo, scappati in
America durante l’ultima guerra di mafia, all’atto della presa del potere da parte corleonese. Il gioco è
insomma collettivo, si sviluppa anche su tempi lunghi, si stringe e poi nuovamente si allarga
determinando nuove leadership. Così almeno sarebbe stato se non fossero intervenuti gli inquirenti
che fortunatamente marcavano stretti tutti questi soggetti.
S. Restiamo al tema dal quale siamo partiti: se Provenzano è veramente il «viddano», il contadino della ricotta e
della cicoria, come riesce a gestire affari delicati e complessi come quelli della sanità? Bisogna pensare allora che non
sia l’arcaico contadino a controllare direttamente i veloci business della modernità, ma che lo facciano per lui i suoi
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