Page 12 - Potere criminale
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capacità  di  erogare  violenza,  ma  anche  di  sfuggire  alla  punizione.  Ogni  terrorismo  punta  alla
           disgregazione del fronte avversario e al compattamento del proprio. È probabile che, analogamente a
           quanto accadeva ai brigatisti, anche i corleonesi abbiano conseguito, ogni volta che ammazzavano
           qualcuno,  credibilità  in  una  parte  sia  pur  limitata  di  società,  all’interno  del  loro  mondo.  Più
           importante  era  la  vittima,  più  importanti  si  sentivano  ed  erano  sentiti  i  carnefici.  L’escalation
           insomma aumentava il potere di chi la metteva in opera, rafforzava egemonie, determinava ulteriore

           centralizzazione. Ovviamente, c’erano effetti di medio periodo imprevisti e imprevedibili.

           S. Una mafia né centralizzata né verticale non avrà più bisogno della Commissione provinciale, quell’organismo
          di coordinamento, democraticamente eletto dagli affiliati. Cesserà di esistere la Cupola di Cosa Nostra?

           L. Sembra che quell’organismo, la Cupola ovvero la Commissione provinciale palermitana, cui in
           genere ci si riferisce sulla scorta di rivelazioni posteriori dei pentiti, abbia sempre avuto vita grama.
           Nacque agli inizi degli anni Sessanta, venne subito sciolta per le lotte intestine e la pressione delle

           autorità dopo la strage di Ciaculli. Ricostituita intorno al 1973, qualche anno più tardi non riuscì a
           garantire  la  pax  mafiosa  (come  prevedeva  –  diciamo  così  –  il  suo  statuto  fondativo),  quando  la
           fazione corleonese (ovvero i corleonesi propriamente detti, più i loro alleati palermitani) decise di
           prendersi  il  potere.  Nel  periodo  successivo,  c’è  ben  poca  traccia  del  meccanismo  cosiddetto
           democratico cui ti riferisci, e nemmeno di un meccanismo oligarchico, di un coordinamento alla
           pari tra i boss. Veramente, c’è poca traccia anche di un sistema di «famiglie» di pari dignità, radicate
           nei  diversi  territori  di  Palermo,  dell’hinterland  e  dei  paesi  circostanti,  e  che  troverebbero  la  loro

           camera di compensazione nella Commissione.

           S. Abbiamo parlato di vecchio e nuovo, di arcaismo e modernità. Se per Provenzano si può anche giustificare
           un’immagine  del  boss  contadino,  altro  discorso  è  per  i  boss  arrestati  in  seguito:  giovani  come  Gianni  Nicchi,
           Domenico Raccuglia, Salvatore e suo figlio Sandro Lo Piccolo. Soggetti diversi, modi diversi di muoversi vestire
           agire. Però addosso a Salvatore Lo Piccolo sono stati trovati il decalogo del giuramento rituale e le regole di bon ton
           di Cosa Nostra. Regole che mal si addicono, se ci penso, al giovane Sandro Lo Piccolo, che ascolta musica hip

           hop, ha la Smart e il telefonino, molte ragazze con le quali corrisponde. Ebbene, con la presenza del decalogo
           siamo di nuovo di fronte all’elemento arcaico...

           L. Certo, perché questo elemento funziona. Scusa, ma perché mai parlare di una contraddizione? Lo
           Piccolo padre si sarà sposato in chiesa, e anche Lo Piccolo figlio (immaginiamo) si sarebbe sposato in
           chiesa,  se  non  gli  fosse  capitato  l’incidente,  chiamiamolo  così,  dell’arresto.  Loro  due,  come
          chiunque  altro,  sposandosi  partecipano  a  un  rito  che  è  arcaico  alla  pari  di  altri  riti  della  Chiesa

          cattolica.  Ci  credono,  non  ci  credono?  Ricordo  quell’udienza  del  maxiprocesso,  in  cui  a  un
          avvocato,  che  disquisiva  sull’inverosimiglianza  del  giuramento  mafioso,  Buscetta  tranquillo
          tranquillo  rispose:  «Avvocato,  mi  dicono  che  lei  è  iscritto  alla  massoneria.  Lei  pure  l’avrà  fatto
           qualche giuramento strano». Chi fa un giuramento come quello massonico forse ci crede o forse no,
           forse è convinto che gli altri ci credano e vuole sfruttare la loro credulità. Come fai a valutare questo?
          Il punto è che tutto il nostro mondo, anche se noi non ce ne accorgiamo, è costellato di riti arcaici.

           Perché  ce  ne  dobbiamo  stupire  solo  quando  sotto  i  riflettori  finisce  Lo  Piccolo?  Alla  fin  fine,  il
          decalogo di Lo Piccolo non è molto diverso da quello di Provenzano, non è molto diverso da quello
          espresso nel libro di Joe Bonanno, non è molto diverso da quello inciso sulla tomba di Giuseppe Di
           Cristina,  non  è  molto  diverso  da  qualsiasi  altro  decalogo  mafioso  che  noi  abbiamo  conosciuto.
           Stiamo attenti a non essere superficialmente modernisti solo quando parliamo di mafia. I mafiosi si
           sono  convinti  che  il  loro  linguaggio  tradizionalista  (non  necessariamente  tradizionale  davvero!)



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