Page 14 - Potere criminale
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S. Buoni cristiani che ammazzano altri cristiani...
L. Non sarà il primo o l’unico caso. Non c’è bisogno di risalire alla Controriforma. Pensa ai
falangisti nella guerra civile spagnola, agli ustascia croati, agli squadroni della morte sudamericani:
tutti buoni cattolici. Ma sicuramente nella Controriforma prende piede l’idea che l’adesione al
rituale religioso sia più importante del conformarsi ai principi etici affermati nel Vangelo. Vedremo
in seguito, peraltro, che quello mafioso è un rituale misto massonico-cattolico. E nella società
siciliana sono molte le forme di associazionismo legate all’identità cattolica: le confraternite nobiliari
o popolari devote al culto dei santi avevano e hanno funzioni di organizzazione del potere, sia dal
basso che ai massimi livelli. Su questi fenomeni i veri cattolici, in genere, non sono i migliori
analisti, perché vi cercano tracce di cristianesimo. Ma è evidente che spesso il cristianesimo non c’è.
Per questa ragione molti bravi sacerdoti hanno sempre tentato di restringere il ruolo delle
organizzazioni fazionarie raccolte attorno al culto dei santi, considerandole vagamente pagane. Ed è
vero invece che, intorno alle congregazioni intitolate a qualche santo, spesso si riunivano gruppi
mafiosi che, soprattutto alle origini, avevano bisogno di strutture ufficiali per aggregarsi.
S. Riprendiamo il filo del nostro discorso: ogni qual volta si parla dei valori della mafia, qualcuno precisa che è un
sistema di disvalori. Ma per gli affiliati a Cosa Nostra sono valori fondanti e identitari...
L. Certamente possiamo e dobbiamo parlare di disvalori, purché siamo consci di inserire una
valutazione morale; il che, dal punto di vista delle scienze sociali, non è propriamente corretto. Se
non vogliamo essere intellettualmente pavidi, dobbiamo effettivamente ammettere che di un sistema
di valori si tratta. Grazie a esso si comunica all’interno della mafia, nonché tra chi vi sta dentro e chi
ne sta fuori, provando a raggiungere perfino quanti sono contro la mafia. Altrimenti non si
spiegherebbe perché noi stessi, quando andiamo a vedere Il Padrino, ci entusiasmiamo alla risposta di
don Vito Corleone a chi gli chiede vendetta per la figlia brutalizzata: «Tu avrai da me non vendetta,
ma giustizia, e sarà proporzionata all’offesa». Significa, in altri termini: tu sarai difeso grazie alla
relazione personale-affettiva-familiare-amicale che mantieni con me, non in base a una norma
astratta.
S. Un tempo si diceva che essere mafioso a Palermo era come essere un dirigente della Fiat a Torino. Oggi, con
una mafia così indebolita e in difficoltà, questo modello ha una capacità di attrattiva?
L. Questo bisognerebbe chiederlo a qualcuno che lavora sul campo. Però anche se la mafia non ha
più questa capacità oggi, e ce l’aveva ieri, potrà riaverla domani. Perché è il modello di qualsiasi area
del mondo in cui la tutela della legge comune è più debole e le grandi organizzazioni criminali
impongono la loro legge, la loro solidarietà, il loro giro d’affari, in cui gangster e poliziotti finiscono
per collaborare al mantenimento dell’ordine: nelle favelas di Rio, nei sobborghi di Los Angeles, in
quelli di Napoli. Pensano che a tutelarli siano delle persone, e alla fine alcuni di loro penseranno di
essere tutelati meglio dal gangster che dal poliziotto. Se il sistema mostra una capacità di andare oltre
gli spazi dei quartieri popolari, coinvolgendo un mondo borghese, intermedio o anche alto-
borghese, allora possiamo parlare di mafia. Il termine si è imposto a livello planetario, quando si è
visto che esso era applicabile a due diversi continenti e a due società assolutamente diverse: quella
siciliana e quella statunitense. Oggi si dice las mafias in Sud America, si parla di mafie russa, cecena,
albanese. Certo, la fortuna della parola può andare a discapito del rigore nel suo uso. È difficile dire
quanto queste altre mafie condividano il tratto peculiare di quella originaria: il carattere interclassista,
la capacità di lambire i vertici della piramide sociale.
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