Page 7 - Potere criminale
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La mafia sommersa














           Gaetano Savatteri Quando Bernardo Provenzano apparve per la prima volta in pubblico, l’11 aprile 2006,
          dopo la cattura nel casolare di Corleone dove si era conclusa la sua quarantennale latitanza, un lampo di delusione
          attraversò i pensieri di molti italiani: era solo un vecchio contadino, ma veniva descritto come il re dell’impero del
          male e comunque per decenni aveva beffato lo Stato. La ricotta e la cicoria trovate nel covo di Montagna dei

          Cavalli, alle porte del paese dove era iniziata la lunga carriera criminale di Provenzano, diventarono simboli di
          arretratezza e arcaismo che mal si conciliavano con l’immagine della Cosa Nostra capace di controllare affari,
          gestire denaro e influenzare il mondo.

          Salvatore  Lupo  Provenzano  di  sicuro  non  ha  costruito  il  suo  potere  in  un  eremo  e  mangiando
           cicoria, secondo la raffigurazione oleografica fornitaci dalla stampa al momento della sua cattura.

           S. Certo, sappiamo infatti che nel casolare dove è stato arrestato si era rifugiato solo negli ultimi mesi prima

           dell’arresto...

           L. Esatto. Il fatto che Saddam Hussein, braccato dagli americani, si fosse nascosto in una cloaca non
           vuol dire che vi risiedesse abitualmente. Nessuno ha fatto facile sociologia su di lui o sul suo partito
           Bath partendo dalla fogna in cui è stato trovato. Non si sarebbe dovuta nemmeno fare sociologia su
           Provenzano e la sua mafia traendo chissà quali conclusioni minimizzanti dal rifugio rupestre dove
           passò l’ultima fase della sua latitanza, dai suoi pasti a base di ricotta e cicoria.

           S. Resta però il fatto che l’immagine di Provenzano costretto a rifugiarsi in un casolare di Corleone riproponeva

           l’idea di una mafia paesana e contadina. Ancora una volta antico e moderno stridevano, come spesso avviene
          rileggendo la storia della mafia.

          L. È questo uno dei temi nodali della secolare discussione attorno alla mafia: la sua stessa esistenza
          mette in crisi il nostro concetto di modernità... per troppo tempo ci siamo raccontati la favola che la
          mafia  fosse  figlia  del  sottosviluppo.  Poi  abbiamo  invertito  i  termini  del  discorso,  dicendo  che  il
           sottosviluppo è figlio della mafia. Ma entrambe le proposizioni sono errate.


           S.  La  nostra  conversazione  servirà  proprio  a  capire  se  hai  ragione.  Ma  voglio  restare  per  il  momento  su
          Provenzano, sull’ultimo grande capo dei capi di Cosa Nostra.

          L. Dubito fortemente che Bernardo Provenzano abbia esercitato un potere dittatoriale. La verità è
           che l’ossessione per il capo dei capi, amplificata dal gergo giornalistico e anche da fiction televisive,
           banalizza oltre misura il nostro ragionamento. Dal punto di vista pratico, poi, la cattura di un boss è
          un passo importante, ma per nulla definitivo nella lotta contro la mafia.

          S. Forse allora la definizione di capo dei capi è valida per Totò Riina che fino al 15 gennaio 1993, data del suo

           arresto, veniva indicato come il dittatore di Cosa Nostra...

           L.  Guarda,  anche  qui  non  guasterebbe  qualche  prudenza  interpretativa.  L’opinione  pubblica,  i
           politici, i giornalisti e, qualche volta, anche gli inquirenti, adorano immaginare un capo dei capi che



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