Page 90 - L'onorata società
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appena del 9 per cento. Nell'ultimo decennio si sono aggiunti una
sessantina di chilometri.
Un discorso particolare merita naturalmente il gruppo Autostrade. La
società venne costituita nel 1950 dall'Iri. La privatizzazione è datata 1999,
presidente del Consiglio Massimo D'Alema. Si trattava di una grande
operazione, ma non si scatenò alcuna battaglia sul mercato per
l'aggiudicazione della quota di controllo dell'azienda. L'unica trattativa fu
quella con Schemaventotto: i Benetton, già proprietari dal 1995 della
catena Autogrill, risultavano molto graditi all'establishment economico e
politico del Paese. Qualche imprenditore un pensierino ce l'aveva fatto, ma
si era subito tirato indietro davanti alla farraginosità delle clausole
contenute nei contratti di convenzione. E soprattutto di fronte alla
percezione che la loro interpretazione sarebbe stata fortemente
discrezionale, quindi assoggettabile agli umori della politica.
Di convenzione in convenzione, passando per complicati meccanismi di
rivalutazione monetaria, si giunge a oggi. Facciamo due conti. Il piano
finanziario allegato all'accordo del 1997 prevedeva investimenti per 3,6
miliardi di euro nel quinquennio 1998-2002. Periodo in cui il traffico è
aumentato dell'8 per cento, i ricavi del 12, il margine operativo lordo del 40
e l'utile netto è triplicato. Per contro, gli investimenti per nuove costruzioni
e ampliamenti sono stati soltanto il 10 per cento di quelli previsti. Niente
male, per la dinastia di Ponzano Veneto. Che ha potuto coprire, anche in
questo modo, le perdite derivanti dal primo, fallimentare tentativo di
diversificazione: la partecipazione nella società telefonica Blu.
In passato, qualcuno ha provato a rompere il silenzio che circonda
questo gigantesco affare. Una senatrice dei Verdi, Anna Donati, nel 2002 si
rivolse direttamente al ministro dell'Economia Giulio Tremonti e con una
lettera denunciò i mancati investimenti della concessionaria autostradale
rispetto a quanto concordato. Qualche mese prima, la Corte dei conti
aveva evidenziato come nel periodo 1997-2000 la società avesse riscosso
6,6 miliardi di euro di pedaggi «senza compiere le opere di costruzione e
manutenzione previste». Quindi fu la volta del ministro Di Pietro. Non è
cambiato nulla. Le accuse sono sempre state respinte al mittente con la
presentazione di dati e tabelle di segno diametralmente opposto sugli
stanziamenti per ammodernare e mettere in sicurezza la rete. La colpa dei
ritardi, semmai, è di circostanze esterne. Come le proteste degli
ambientalisti, la burocrazia, i contenziosi. Insomma, il cosiddetto sistema.
Gli affari corrono da casello a casello