Page 40 - L'onorata società
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Carlo Bologna, detto Spartacus, leader dell'Associazione italiana taxisti. È
          lui il portavoce, l'uomo con il cellulare sempre all'orecchio per parlare con i
          giornalisti. Quello che conclude le assemblee gridando: «E chi si estranea
          dalla  lotta...»  e  aspetta  il  coro  che  gli  risponde:  «È  'n  gran  fijo  de  'na

          mignotta».
              A Milano le cose non vanno diversamente. Anzi. I taxisti hanno il dente
          avvelenato dal maggio 2002, quando l'ex sindaco Gabriele Albertini chiese
          alla Regione di concedere 500 nuove licenze. Una vertenza andata avanti,

          ovviamente con blocchi periodici della circolazione, fino al gennaio 2004,
          quando  la  Regione  riuscì  a  concederne  288  per  l'intera  Lombardia,  270
          delle  quali  riservate  al  capoluogo.  Con  la  proposta  Bersani  si  ricomincia.
          Torna a farsi sentire Alfonso Faccioli, del Cat (Coordinamento ambientalista

          taxi),  che  aveva  guidato  i  cortei  contro  Albertini.  Si  scatena  Nereo  Villa,
          della Cna Fita.
              Gli  umori  sono  questi.  E  pendono  a  destra.  Non  a  caso  Alemanno  e
          Storace scendono tra gli autisti: «La sinistra è contro i lavoratori e porta i

          no  global  in  Parlamento,  mentre  voi...».  Chi  è  schierato  sulla  sponda
          opposta, come Raffaele Grassi, presidente del sindacato dei taxisti Satam e
          consigliere  comunale  dell'Unione  a  Milano,  appare  spiazzato,  ma  se  si
          tratta di scegliere da che parte stare non mostra il minimo tentennamento:

          «Mi  sento  tradito.  Prodi  parla  tanto  di  concertazione,  ma  evidentemente
          vale  solo  per  Cgil,  Cisl  e  Uil».  A  sua  volta,  Nicola  Di  Giacobbe,  leader
          nazionale  di  Unica  taxi  della  Cgil,  quando  gli  si  chiede  se  non  trova
          eccessivo  che  i  taxi  blocchino  l'Italia,  risponde  secco:  «L'errore  è  del

          governo che propone una legge sbagliata».
              A  vincere,  alla  fine,  sono  loro,  i  taxisti  barricaderi.  Venerdì  14  luglio
          2006  Bersani  è  costretto  a  una  sostanziale  retromarcia.  Nessuna  vera
          liberalizzazione, niente cumulo delle licenze. Al massimo i Comuni, d'intesa

          con  la  categoria,  potranno  aumentarne  un  po'  il  numero.  Veltroni  ce  la
          mette tutta, con la sua arte della mediazione. Nel novembre 2007, però,
          esplode  l'ennesima  tensione.  Veltroni  vuole  rilasciare  altre  500  licenze,
          dopo  averne  attribuite  già  1.450,  e  rispuntano  i  blocchi.  La  storia  si  fa

          pesante,  perché  interviene  la  magistratura:  per  centinaia  di  conducenti
          l'ipotesi accusatoria è di concorso in interruzione di pubblico esercizio. La
          tesi del pm Attilio Pisani è netta:


              I taxisti, nella loro qualità di incaricati del pubblico servizio, agendo in
          concorso tra di loro e in esecuzione della medesima risoluzione criminosa,
          interrompevano il servizio, omettendo di rispondere alle chiamate inoltrate
          dai centralini e concentrandosi nella zona di piazza Venezia, lasciando le

          autovetture  in  sosta  sulla  carreggiata  stradale  della  piazza  e  delle  vie
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