Page 36 - L'onorata società
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Parigi e dintorni sui provvedimenti da lui ventilati era scoppiata la bufera.
              Quella  delle  domeniche,  del  resto,  non  è  affatto  una  questione
          secondaria.  Stando  a  un'altra  ricerca  del  Cermes-Bocconi  (peraltro
          commissionata  da  Federdistribuzione),  il  49,3  per  cento  degli  italiani

          frequenta con regolarità i supermercati durante le domeniche di apertura
          (il 19,6 per cento molto spesso) e il 45 per cento si reca con costanza nei
          centri  commerciali.  Per  quanto  riguarda  il  centro  città,  la  sua
          frequentazione  avviene,  a  negozi  chiusi,  da  parte  del  43  per  cento  degli

          intervistati,  percentuale  che  sale  al  54,5  quando  i  negozi  hanno  le
          saracinesche  alzate.  Tirate  le  somme,  il  76,2  per  cento  dei  consumatori
          ritiene che le aperture domenicali siano un servizio, anche perché il 57,2
          per cento afferma di non avere tempo per gli acquisti negli altri giorni. Le

          esigenze  dei  cittadini  sono  lampanti.  Senza  contare  che  se  le  aperture
          festive raddoppiassero, passando dalle attuali 16 (media nazionale) a 32
          all'anno,  i  consumi food  e non food crescerebbero automaticamente di 4
          miliardi, ossia dello 0,25 per cento del Pil.

              Invece  il  fronte  del  no  rimane  fortissimo.  Ed  è  composto  da  alleanze
          quanto meno singolari: la Chiesa («La domenica è sacra, è il giorno del
          Signore» tuonò Karol Wojtyla) unita con l'estrema sinistra di Paolo Ferrero
          e Oliviero Diliberto; il presidente della Confcommercio Sangalli schierato a

          fianco  del  segretario  della  Cgil  Guglielmo  Epifani.  Così  non  si  può  che
          andare avanti in ordine sparso.
              C'è la crisi? I consumi calano complessivamente dell'1,5 -2 per cento? In
          risposta la Regione Lombardia decide di varare un piano che vada incontro

          ai  bisogni  della  categoria  e  prepara  una  nuova  deregulation  del
          commercio: si prevede, tra l'altro, la possibilità di apertura non stop, giorno
          e  notte,  festivi  compresi,  per  piccoli  e  grandi  esercizi.  Il  fuoco  di
          sbarramento          è     tremendo.         Scende        in    campo        Dino      Abbascià,

          autosoprannominatosi "il leone di Bisceglie". Il classico uomo che si è fatto
          da solo. Sbarcato a Milano con i pantaloni corti, nel 1955 ha iniziato come
          garzone  ed  è  arrivato  a  creare  un  piccolo  impero  nella  frutta  e  verdura.
          Abbascià, medaglia d'oro per l'impegno imprenditoriale, schiera le truppe

          della  Fida  (Federazione  italiana  dettaglianti  dell'alimentazione),  di  cui  è
          presidente,  già  alle  prese  con  un'aspra  polemica  nei  confronti  della
          Coldiretti  e  dei  suoi farmer  market,  i  mercati  gestiti  direttamente  dagli
          agricoltori e dagli allevatori, «un'operazione che millanta obiettivi di qualità

          e di prezzo». Ma il più scatenato contro il piano anticrisi della Regione è
          Renato  Borghi,  61  anni,  milanese  doc,  vicepresidente  di  Confcommercio
          nonché, dal 2000, numero uno di Federazione moda Italia, l'associazione
          che  riunisce  i  negozianti  di  abbigliamento  al  dettaglio.  Borghi,  con

          l'assessore  Franco  Nicoli  Cristiani  va  giù  senza  mezzi  termini:  «Il  vostro
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