Page 33 - L'onorata società
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convertita  in  passione  per  l'economia,  era  riuscito  a  inimicarsi  decine  di
          categorie.  Aveva  iniziato  proprio  dai  commercianti,  fin  dal  1998,  quando
          era ministro dell'Industria del primo governo Prodi, promuovendo la tanto
          discussa riforma del commercio, con al centro l'abolizione delle licenze. Un

          provvedimento  che  scatenò  "moti  di  piazza".  E  spaccò  anche  il
          centrodestra,  dichiaratamente  liberale  e  liberista.  Antonio  Martino,  ex
          ministro degli Esteri e poi della Difesa, professore di Economia politica, si
          schierò  a  fianco  di  un  altro  illustre  collega,  Mario  Monti,  all'epoca

          commissario  europeo  alla  Concorrenza,  nell'appoggiare  le  scelte  del
          governo  di  centrosinistra.  Giulio  Tremonti,  invece,  parlò  addirittura  di
          "provvedimento immorale".
              «Non mi sono mai sognato di dire: ragazzi, da questo momento ognuno

          fa quello che vuole» spiega oggi Bersani, con il consueto sigaro in bocca,
          ripercorrendo  le  tappe  di  quella  battaglia  senza  quartiere.  «Piuttosto
          volevo  ridisegnare  un  quadro  di  regole  generali.  Con  tre  obiettivi:
          liberalizzare  i  settori  troppo  chiusi,  tutelare  maggiormente  i  cittadini  nei

          mercati teoricamente già liberalizzati, combattere l'evasione fiscale. Il tutto
          mettendo al centro il consumatore e scavalcando gli interessi di parte. Mi è
          venuto addosso un tir. Anzi, un pullman.»
              Allusione  per  niente  casuale.  I  commercianti  si  imbufaliscono.  Marco

          Venturi, presidente (tuttora in carica) della Confesercenti, organizzazione
          tradizionalmente legata alla sinistra, scrive una lettera aperta:

              Caro  ministro,  alcune  caratteristiche  della  distribuzione  vanno

          salvaguardate,  negli  interessi  degli  stessi  consumatori,  che  non  si
          avvantaggerebbero  dall'assenza  di  regole  e  di  professionalità,  né  da  un
          commercio  pirata  che  avvia  attività,  rastrella  risorse  e  chiude,  lasciando
          scie di "bidoni" e di disoccupati.


              Ma Venturi si schiera per la trattativa a oltranza. Il vero "falco" è Sergio
          Billè, all'epoca potente presidente della potente Confcommercio (820 mila
          imprese  associate),  che  minaccia  serrate  e  manifestazioni  "modello

          Cobas". Rinunciare al valore della licenza (teoricamente intorno ai 100 mila
          euro), vissuta come una sorta di assicurazione per la vecchiaia? Via, non
          scherziamo. Eliminare le tabelle merceologiche, in modo da poter vendere
          nello stesso negozio prodotti di generi diversi? Non se ne parla nemmeno.

          Abolire  i  limiti  di  distanza  tra  esercizi  dello  stesso  settore?  Concorrenza
          sleale.  Alzare  una  saracinesca  solamente  con  una  Dia  (Dichiarazione  di
          inizio attività), facendo scomparire il sistema dei corsi abilitanti (detto per
          inciso,  un  bel  business  per  le  associazioni  di  categoria)?  Non  sia  mai:

          chiunque voglia aprire una bottega deve avere il suo bravo patentino. Il
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