Page 29 - L'onorata società
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difficile stabilire chi siano i "buoni" e chi i "cattivi". Da un lato le grandi
          catene,  che  si  muovono  con  le  loro  armi  pesanti,  incuranti  del  dibattito
          sulla disaffezione ai consumi che ha colpito gli italiani e indifferenti pure ai
          peana di quegli intellettuali che, al contrario, vedono i centri commerciali

          come moderne agorà. L'obiettivo è uno solo: crescere, moltiplicare ricavi e
          utili, dunque rimuovere gli ostacoli che frenano l'avanzata. Dall'altra parte i
          commercianti,  che  mostrano  una  fotografia  dell'Italia  dove  ogni  sette
          minuti  e  mezzo  si  spegne  la  luce  di  una  bottega.  Per  il  2008

          Confcommercio  lamenta  un  saldo  negativo  di  22.343  imprese,  tra  nuove
          aperture  e  cessate  attività.  Confesercenti,  seconda  associazione  della
          categoria,  è  persino  più  pessimista:  stima  che  nei  prossimi  cinque  anni
          potrebbero chiudere 62 mila saracinesche, con 150 mila posti di lavoro a

          rischio.  Colpa  della  crisi  economica  che,  insieme  con  gli  odiati
          supermercati, ha prodotto una miscela esplosiva. Non a caso i consumi nei
          piccoli  negozi  stanno  calando  nell'ordine  del  5-6  per  cento,  mentre  la
          grande distribuzione tiene.

              Uno scontro tra Davide e Golia. Per la conquista del territorio, la vita o
          la morte. La cosa che dà un po' fastidio è che si vorrebbe ammantare la
          partita di intenti nobili. I contendenti non perdono occasione per sostenere
          la  centralità  del  consumatore.  Il  cliente,  come  da  copione,  ha  sempre

          ragione.  Tutto  si  fa  per  lui,  in  suo  nome.  Magari...  Gli  interessi  del
          consumatore  sono  gli  ultimi  a  venire  presi  in  considerazione.  Le  mosse
          sono  dettate  da  ben  altre  priorità.  Le  lobby  sono  scatenate,  mettono  in
          campo le potenti forze di cui dispongono, come al solito cercano sponde

          nella  politica.  Nelle  scuole  di  economia  si  insegna  che  in  un  sistema
          commerciale moderno ci sarebbe spazio per tutti: la concorrenza, che si sa,
          è  l'anima  del  commercio,  dovrebbe  essere  caratterizzata  dalla
          specializzazione,  dalla  qualità,  dal  servizio.  E  naturalmente  dal  prezzo.

          Invece da noi le società della grande distribuzione litigano tra loro (si veda
          il  violentissimo  scontro  tra  Esselunga  e  Coop,  accusata  di  godere  di
          privilegi politici e fiscali), ma si ricompattano se si presenta l'occasione di
          guadagnare  terreno  sul  commercio  tradizionale,  che  a  sua  volta  non

          mostra smagliature quando si tratta di lottare per la conservazione delle
          rendite di posizione e di ostacolare qualsiasi forma di liberalizzazione. Per
          esempio,  quando  si  parla  di  abolizione  delle  licenze  e  delle  distanze
          minime tra esercizi dello stesso genere.

              Alla faccia della concorrenza. Eppure ne avremmo tanto bisogno. L'11
          giugno 2008, poche settimane dopo l'insediamento del quarto governo di
          Silvio Berlusconi, Antonio Catricalà, presidente dell'Antitrust, ha consegnato
          a  senatori  e  deputati,  alla  presidenza  del  Consiglio,  ai  ministri  Giulio

          Tremonti  (Economia),  Claudio  Scajola  (Sviluppo  economico),  Renato
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