Page 21 - L'onorata società
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fisco non sa chi sono gli italiani. Oppure fa finta di non saperlo. Conosce
          benissimo, invece, i 2 milioni e 900 mila cittadini che, dai dati Istat relativi
          al 2008, si trovano al di sotto della soglia della povertà: 1 milione e 130
          mila  famiglie  che,  con  difficoltà  crescenti  in  base  al  numero  dei

          componenti, fanno fatica a comprare beni e servizi di prima necessità.
              Nel 2009, con la crisi che ha cominciato a picchiare duro, il clima si è
          inevitabilmente arroventato. Ma già nell'estate 2008 i germi della ribellione
          sociale  contro  l'usurpazione  e  l'ostentazione  della  ricchezza  si  erano

          manifestati in un piccolo episodio accaduto a Porto Cervo, in Sardegna. Un
          centinaio di turisti, esasperati dal trambusto di gommoni pieni di showgirl,
          Emili  Fede  e  Briatori  vari,  li  avevano  aggrediti  con  secchiate  d'acqua  e
          insulti:  Cafoni!  Cafoni!  Forse  scopriremo  che  quella  minirivolta  era

          l'emblema di un sentimento destinato in seguito a manifestarsi in tutto il
          mondo. E con azioni ben più gravi, come il sequestro dei manager. Magari
          un  giorno  leggeremo:  «Tutto  partì  con  la  rivolta  dei  gavettoni  di  Porto
          Cervo».





                                                     Smeritocrazia


          Eccolo,  dunque,  il  quadro  dell'Italia  bloccata.  Non  c'è  dubbio:  il  Paese
          avrebbe  bisogno  di  un  cambiamento  di  rotta  a  180  gradi.  Una  scossa

          fortissima,  se  si  vuole  evitare  di  piombare  in  un  nuovo  Medioevo.  Una
          rivoluzione  silenziosa,  di  metodi,  valori,  idee,  che  non  può  arrivare  dalla
          politica, dalle caste e castine, dai gruppi di potere. Dovrebbe partire dal
          basso, a cominciare dai giovani. Ma chi ci pensa, ai giovani?

              Già  l'impatto  con  il  mondo  dell'università  si  presenta  difficile:  aule
          affollate, professori da rincorrere, piani di studio da compilare senza che
          nessuno ti dia un consiglio, costi crescenti. Conclusione: uno studente su
          cinque  lascia  durante  il  primo  anno.  L'ultima  analisi  realizzata  dal  Cnvsu

          (Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario) dice che
          su 285 mila immatricolati nel 2006-2007, a proseguire dopo i primi 12 mesi
          sono stati 232 mila: una percentuale di abbandoni del 18,5 per cento. In
          Francia siamo al 6 per cento, in Olanda al 7, in Gran Bretagna all'8. È vero

          che, salvo in pochi corsi di laurea, manca un'accurata selezione nella fase
          d'ingresso, ragione per cui ci si ritrova in seguito con un gran numero di
          matricole  poco  motivate  e  pronte  a  mollare  alla  prima  difficoltà.  Ma  è
          altrettanto  vero  che  l'80  per  cento  dei  nostri  studenti  non  usufruisce  di

          borse  di  studio,  che  ci  sono  pochissimi  residence  universitari  e  che
          spendiamo  appena  lo  0,4  per  cento  del  Pil  in  servizi  per  il  mondo
          accademico.
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