Page 171 - L'onorata società
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proposta  dallo  stesso  operatore  che  si  trova  allo  sportello  delle
          prenotazioni, il quale nel 22 per cento delle volte aggiunge un allarmante:
          «Sa, sarebbe meglio non tardare».
              Negli ospedali pubblici si naviga a vista. Senza alcuna programmazione:

          tutto è sempre e solo emergenza. Bisogna fare le classiche nozze con i fichi
          secchi,  vale  a  dire  con  i  soldi  che  non  bastano  (nella  stragrande
          maggioranza  dei  presìdi  le  assunzioni  sono  bloccate  e  allo  stesso  tempo
          non vengono pagati gli straordinari) e con attrezzature a volte obsolete.

          Tre  Regioni,  non  casuali,  hanno  accumulato  dal  2003  al  2007  il  73  per
          cento  del  disavanzo  sanitario  nazionale:  Lazio  (con  perdite  per  oltre  7
          miliardi), Campania (4,2 miliardi) e Sicilia (2,9 miliardi). Ma spiccano per il
          bilancio  in  rosso  anche  Piemonte  (un  buco  di  861  milioni),  Liguria  (829

          milioni)  e  Abruzzo  (735  milioni).  Dura  andare  avanti  con  simili  chiari  di
          luna.  E  gli  sbandierati  piani  di  rientro,  i  commissariamenti  eseguiti  o
          annunciati, le minacce di ridurre i posti letto per le Regioni che non hanno i
          conti  sanitari  in  regola  non  giovano  certo  al  servizio,  semmai  lo

          peggiorano. Questa è la realtà. Altro che nuovo Patto per la salute.
              Ma di chi è la colpa? Ce un ritornello dominante: della politica, ovvio.
          Che, senza distinzione di colore politico, ha messo le mani sulla sanità e
          non ha nessuna intenzione di mollare la presa. Verissimo. Nel settembre

          2007, a Milano, è esploso il caso del cardiochirurgo Ettore Vitali, che ha
          detto addio al Niguarda per andare a lavorare in una clinica privata. Il suo
          ex  reparto,  di  cui  era  primario,  è  uno  dei  fiori  all'occhiello  del  Servizio
          sanitario nazionale. Vanta prestazioni di eccellenza assoluta e una storia di

          grande  rispetto:  lì  dentro,  nel  1963,  è  stata  impiantata  la  prima  protesi
          valvolare  a  livello  europeo.  «Non  ce  la  faccio  più»  si  è  sfogato  Vitali,
          annunciando  le  dimissioni.  «Troppa  burocrazia  e,  soprattutto,  troppa
          politica.» Risultato: dopo trent'anni di carriera come «pasdaran del servizio

          pubblico»  (la  definizione  è  sua),  ha  preso  baracca  e  burattini  e  si  è
          trasferito alla Gavazzeni di Bergamo, descrivendo così la situazione:

              Il problema non è tanto che i direttori generali abbiano una tessera di

          partito, quanto il fatto che devono sottostare agli input che vengono dalla
          politica indipendentemente dai reali bisogni dei malati. E se un medico li
          contesta, rischia di essere finito. Viene accusato di lesa maestà. [...]
              Ho cercato di fare assumere un giovane collega molto capace, ma non

          c'è stato niente da fare. Alla fine ci è stato scippato da una clinica, che gli
          ha  proposto  un  contratto  a  tempo  indeterminato  superiore  del  10  per
          cento. In corsia mancavano gli infermieri. Mandavo continue sollecitazioni
          alla direzione per chiedere personale. Risposte? Nessuna. Per un anno un

          mio assistente ha dovuto seguire personalmente la pratica per l'acquisto di
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