Page 154 - L'onorata società
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sarebbero obbligate a pescare tra quanti hanno ottenuto l'abilitazione.
              Fin  qui,  almeno  in  linea  di  principio  e  nelle  dichiarazioni  ufficiali,  il
          mondo  accademico  si  mostra  sostanzialmente  d'accordo.  I  problemi
          nascono  quando  si  passa  a  discutere  di  finanziamenti  e  di  tagli.  17,25

          miliardi  complessivi  del  2009  dovrebbero  diminuire  dell'8  per  cento  nel
          2010  e  del  17  nel  2011.  Con  un  progressivo,  radicale  cambiamento
          nell'assegnazione dei fondi basato sul merito: aumentano gli incentivi per
          valorizzare la qualità della ricerca e della didattica e contemporaneamente

          diminuisce il peso dei contributi storici, incentrati sul numero degli studenti,
          un metodo che in passato ha finito per premiare chi spendeva di più. Va
          bene,  ma  quale  merito?  Chi  lo  stabilisce?  Soprattutto,  che  ne  sarà  degli
          atenei  minori?  Non  stiamo  parlando  di  spiccioli:  la  quota  distribuita  in

          relazione ai "comportamenti virtuosi" dovrebbe salire a 2,5 miliardi entro il
          2011. Per un sistema da sempre refrattario a pagelle e voti, si tratta di una
          rivoluzione  difficile  da  digerire.  Improvvisamente  si  introdurrebbero
          massicce doti di analisi e di giudizio. Compito che spetterebbe all'Anvur,

          l'Agenzia nazionale di valutazione dell'università e della ricerca, rimodellata
          nel regolamento, nei membri, nelle competenze.
              Un'anticipazione dell'aria che tirerà si è avuta a fine luglio, quando la
          Gelmini  ha  pubblicato  la  classifica  degli  atenei,  in  base  alla  quale

          distribuire una prima tranche di 525 milioni, pari al 7 per cento del Fondo di
          finanziamento  ordinario.  Chi  è  in  vetta  ci  guadagna:  Trento  incasserà  il
          10,69 per cento in più rispetto al passato, il Politecnico di Torino il 5,22, il
          Politecnico di Milano il 4,14. Chi si trova agli ultimi posti, come Messina,

          Palermo,  Foggia  e  Macerata,  ci  rimetterà  il  3  per  cento.  È  scoppiato  il
          putiferio.  I  penalizzati  hanno  messo  in  discussione  i  criteri  adottati  dal
          ministero.  Alcuni  deputati  del  Sud  hanno  insinuato  il  sospetto  di  una
          manovra  in  chiave  anti-Meridione.  I  rettori  finiti  sotto  accusa  si  sono

          indignati  di  cotanta  leggerezza.  Nessuno,  però,  che  si  sia  messo  a  fare
          l'esame di coscienza. Quando a Roberto Sani, rettore a Macerata (ultima
          assoluta) e a Fulvio Esposito (il collega di Camerino, otto posizioni sopra) è
          stata  prospettata  l'ipotesi  di  un  accordo  per  razionalizzare  l'offerta

          didattica,  magari  lasciando  una  facoltà  di  Giurisprudenza  anziché  due,
          entrambi  hanno  gridato  allo  scandalo.  Le  loro  università  devono  restare
          distinte e autonome. Alla faccia delle graduatorie del ministro. E al di là del
          particolare che si trovano a 40 chilometri di distanza, nella stessa provincia

          e con i bilanci che non stanno più in piedi.
              Delle belle se ne sono già viste anche per l'auspicato taglio dei corsi di
          laurea. Un processo avviato da Letizia Moratti e proseguito da Fabio Mussi,
          al quale il ministro Gelmini intenderebbe dare una forte accelerazione. Il

          suo obiettivo è di abolirne un migliaio, all'incirca il 20 per cento. Il tutto
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