Page 151 - L'onorata società
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prescelto)  e  quattro  esterni,  nominati  tra  gli  esperti  della  disciplina.  A
          totale  discrezionalità,  senza  alcun  criterio  oggettivo,  senza  nemmeno
          stilare la classifica finale, ne escono gli idonei. O meglio, l'idoneo. Poiché
          spesso il concorso viene bandito su misura per lui. Prima gli si crea il posto,

          magari  inventando  un'improcrastinabile  esigenza  didattica.  Poi  si  vara  il
          bando  che,  guarda  caso,  richiede  un  profilo  ideale  perfettamente
          corrispondente al suo.
              Anche un bambino capirebbe che il gioco è truccato. Infatti c'è chi ne

          approfitta. In particolare, sembra che la carriera accademica sia facilmente
          ereditabile. Sarà questione di Dna, come ha provato a spiegare Giuseppe
          Nicotina, fino al 2008 professore di Diritto processuale civile a Messina, per
          giustificare la vittoria del figlio Ludovico al concorso di ricercatore presso la

          facoltà di Economia della stessa università. Ludovico era l'unico candidato
          presentatosi  all'esame,  gli  altri  due  avevano  rinunciato.  Ma  a  papà
          Giuseppe poco importa. Per lui le cose sono chiarissime: «I figli dei docenti
          sono più bravi perché hanno tutta una forma mentis che si crea nell'ambito

          familiare tipico di noi professori».
              Senza scomodare la genetica, i casi di luminari che convivono sotto lo
          stesso tetto (pardon, ateneo) con mogli, figli e congiunti vari si sprecano.
          Ha  provato  a  contarli  Nino  Luca,  giornalista  di Corriere.it,  nel  suo  libro

          Parentopoli.  Da  nord  a  sud,  non  c'è  università  che  si  salvi.  Il  familismo
          attraversa  orizzontalmente  gli  schieramenti  politici,  le  aree  disciplinari,
          supera  le  barriere  geografiche  e  culturali.  E  porta  allo  scoperto  nomi
          apparentemente al di sopra di ogni sospetto: quelli di Pellegrino Capaldo

          (già  presidente  della  Banca  di  Roma)  alla  Sapienza,  di  Giulio  Ballio  al
          Politecnico di Milano, o di Enrico Decleva (attuale presidente della Crui, la
          Conferenza dei rettori) alla Statale di Milano.
              Silvio  Berlusconi,  nell'intento  di  sostenere  l'attivismo  di  Mariastella

          Gelmini, ha sparato una bordata: «Il mondo universitario è diventato un
          sistema  di  ammortizzatori  sociali,  in  cui  ogni  professore  ha  il  figlio,  il
          cugino, l'amico del figlio, il cognato che ha la cattedra con l'invenzione di
          un corso di laurea». Gli ha replicato seccato Vincenzo Milanesi, ex rettore di

          Padova, tra i capofila di Aquis, l'Associazione per la qualità delle università
          statali: «È incredibile che il presidente del Consiglio faccia affermazioni di
          questo genere. Dire che tutti i docenti universitari sono delinquenti è come
          sostenere che tutti i politici sono ladri...».

              Giusto.  Ma  di  fronte  a  certe  situazioni  c'è  poco  da  stendere  difese
          d'ufficio.  Come  a  Bari,  ateneo  passato  al  setaccio  da  Roberto  Perotti,
          professore  alla  Bocconi,  nel  suo  impietoso  saggio  intitolato L'università
          truccata.  Alla  facoltà  di  Economia  dominano  tre  autentiche  dinastie.  I

          Girone,  con  l'ex  magnifico  rettore  Giovanni,  professore  di  Statistica,  la
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