Page 146 - L'onorata società
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naturalmente: due ore e mezzo tra ufficio e aule.
Indignazione, indignazione. Lilla Maria Crisafulli, ordinario di Letteratura
inglese a Bologna, ha raccolto 240 firme di colleghi dell'Alma Mater e di
altri atenei italiani e ha inviato al quotidiano economico il seguente
(lunghissimo) documento di replica per quello che viene considerato un
articolo denigratorio.
Oggi i docenti italiani fanno più ore di lezioni frontali, di esami, di tesi,
di amministrazione di molti loro corrispettivi europei e nordamericani,
senza volere rinunciare minimamente al tempo dedicato alla ricerca, che è
missione principale del professore universitario, e fondamentale anche per
realizzare una docenza e didattica a livello adeguato. Nonostante
l'impegno di tutti i suoi componenti, l'università italiana pubblica resta da
tempo al centro di un tiro al bersaglio dal quale non esiste un organo
accademico nazionale che sembri capace di difenderla. Siamo lasciati
sempre più soli, quando non addirittura attaccati e umiliati dalle istituzioni
e dai media.
Sarà. La percezione dei professori universitari nell'opinione pubblica
rimane in ogni caso pessima. E sufficiente sfogliare il ricchissimo rapporto
Generare classe dirigente, realizzato da università Luiss di Roma,
Fondirigenti (fondazione promossa da Confindustria e Federmanager) e
Associazione management club. A un certo punto, al campione degli
intervistati viene presentata una lista di attività e di professioni. E si
domanda: «Quanto conta il merito nell'accesso e nel seguente sviluppo di
carriera?». I professori universitari si piazzano al quintultimo posto, seguiti
da categorie che non godono esattamente di ottima reputazione (dirigenti
della pubblica amministrazione, dipendenti pubblici, sindacalisti e politici).
La percentuale di persone che risponde che il merito tra gli accademici
conta molto o abbastanza si limita al 37,9 per cento.
Se questa è la realtà, logico che i migliori giovani cerchino spazio e
affermazione fuori: sono 40 mila i ragazzi italiani iscritti nelle università
estere e 17 mila quelli che hanno studiato per un periodo di tempo in altri
Paesi grazie al progetto Erasmus. Quanto agli arrivi, abbiamo dovuto
attendere il 2006 perché superassero le partenze: attualmente le nostre
aule universitarie sono frequentate da 45.800 stranieri. Ma l'attrattività
rimane scarsissima, inferiore persino a quella della Turchia. Quel che è
peggio è che non riusciamo nemmeno a trattenerli: solo il 6 per cento
rimane dopo aver discusso la tesi. Conclusione: i laureati italiani che vivono
e lavorano nei 30 Paesi dell'Ocse sono 395.229, mentre il percorso
contrario, verso l'Italia, è stato fatto solamente da 57.515 "dottori".