Page 13 - L'onorata società
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fino all'iPod e alle nuove frontiere dell'acquisto su internet. Insomma,
inventare e innovare sono le nuove parole d'ordine. In ogni settore. Chi si
ferma è perduto.
Un fondamentale e delicatissimo crocevia dello sviluppo. Invece, su
questo punto l'Italia si mostra vecchia e stanca. Abbiamo un quantitativo di
brevetti per milione di abitanti che è la metà della media europea e un
quinto della Germania. Un numero di start-up nei campi dell'alta tecnologia
che è un settimo di quello francese. I dottorati in Scienze e Ingegneria
sono un quarto di quelli francesi e inglesi. I risultati si vedono. È sufficiente
gettare un occhio alla classifica Fortune 500 delle maggiori imprese
mondiali. Il numero delle aziende italiane è inferiore non solo rispetto alle
americane, alle inglesi e alle giapponesi, ma siamo superati anche da
quelle francesi, svedesi, olandesi, svizzere e coreane. Ogni volta veniamo
sorpassati da qualche Paese, il trend è costantemente al ribasso.
Gli uomini che non fecero l'impresa
Inevitabile. L'Italia non ha più un leader globale in un grande settore. Ci
sono bei nomi, come Enel nell'energia elettrica e UniCredit nelle banche. Ci
sono grosse realtà, come Eni e Intesa-Sanpaolo. E la stessa Fiat, che
tuttavia, prima per sopravvivere e poi per giocare un ruolo di primo piano
nel mercato dell'auto dell'era verde, si è dovuta affidare al meno italiano
dei nostri manager, Sergio Marchionne. Non a caso quando a Berlino, nel
pieno della trattativa per la Opel, è venuta fuori la tradizionale diffidenza
dei tedeschi verso le imprese tricolori e i loro capi, Marchionne ha tagliato
corto: «Io sono canadese». Certamente va citata la Ferrero, la società
piemontese della Nutella, appena incoronata dal Reputation Institute di
New York come l'azienda con la migliore reputazione al mondo, davanti
alla svedese Ikea. Abbiamo autentici cavalli di razza del made in Italy,
dalla Ferrari alla Ducati, dalla Barilla alle griffe della moda. Infine,
possiamo contare sulle varie Merloni, Luxottica, Brembo e le molte
"multinazionali tascabili", gruppi a forte vocazione internazionale, ma
operanti in terreni di nicchia. Detto questo, va ribadito: non c'è oggi una
sola impresa italiana che sia il campione indiscusso in ambito globale,
industriale o di servizio. Una Nokia, giusto per fare un esempio.
Le cause sono molte. Ma gli imprenditori non dovrebbero continuare a
scaricare le colpe sul sistema-Paese e sull'avanzata inarrestabile delle
economie emergenti, per prime Cina e India. Hanno ragione da vendere
quando lamentano che lo Stato non onora i suoi debiti verso il sistema
produttivo, arrivati a 60 miliardi, stando alle stime di Confindustria. E non