Page 11 - L'onorata società
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Il moto immobile


          Da qualunque parte la si guardi, la fotografia è chiara: l'Italia è un Paese
          bloccato.  Che  non  cresce,  che  non  valorizza  le  sue  risorse,  che  rifiuta  di

          competere sulle idee, che ha una tremenda paura del nuovo. La nostra è
          una  società  ingessata.  Forse  sarebbe  meglio  avviare  un  profondo
          cambiamento. Ma come si fa, se la politica pensa a conservare se stessa,
          l'università  non  funziona,  gli  imprenditori,  gli  artigiani  e  i  commercianti

          cercano  protezioni  dallo  Stato,  le  lobby  professionali  difendono  interessi
          corporativi? Il potere rimane saldamente nelle mani dei soliti noti. E logora
          chi  non  ce  l'ha.  Poi,  non  dimentichiamolo,  ci  sono  i  conti  pubblici  in
          profondo rosso. Una situazione che da una parte dovrebbe rappresentare

          un forte stimolo alle riforme, per ridurre il deficit, il debito e, soprattutto,
          gli  sprechi,  ma  che  nello  stesso  tempo  costituisce  un  freno  al
          cambiamento.
              È  il  trionfo  dell'"Italia  mucillagine",  per  usare  un'espressione  di

          Giuseppe  Roma,  direttore  generale  del  Censis:  «Un  Paese  in  cui  tutti  si
          fanno  gli  affari  loro  e  si  nascondono  agli  altri  perché  in  questo  modo
          ottengono  di  più,  in  cui  sono  saltate  le  relazioni  sociali  e  ognuno  è  in
          conflitto  con  l'altro».  Di  conseguenza,  nelle  famiglie  prevale  un  amaro

          senso  di  frustrazione  e  di  pessimismo.  Da  un  sondaggio  realizzato  in
          collaborazione  tra  Doxa  e  Gallup  emerge  un  quadro  di  speranze  e
          aspettative per il futuro a tinte fosche. Il 47 per cento degli italiani vede
          nero per il 2009 e per tutto il 2010, contro una media internazionale che si

          ferma al 35 per cento. A parziale consolazione, c'è chi sta peggio di noi: gli
          inglesi tristi e spaventati sono ben il 52 per cento.
              Così,  in  attesa  di  tempi  migliori,  non  ci  resta  che  ricorrere  all'antica
          strategia  italica:  restare  immobili.  I  dati  sulla  nostra  economia  lasciano

          poco spazio all'interpretazione. Nell'ultimo decennio la cosiddetta crescita
          zero  è  diventata  strutturale.  Dal  1997  al  2007  il  Prodotto  interno  lordo,
          l'indicatore  della  ricchezza  del  Paese,  è  cresciuto  in  media  dell'1,1  per
          cento all'anno, quello dell'Europa dell'1,8 per cento. Come se non bastasse,

          è arrivata la Grande crisi. Dopo aver ripetutamente accusato di eccessivo
          allarmismo  Confindustria  e  Banca  d'Italia,  il  governo  ha  previsto  per  il
          2009,  nel  Dpef  (Documento  di  programmazione  economico-finanziaria),
          una diminuzione del Pil del 5,2 per cento; per il 2010 la ripresa, sempre

          che arrivi, sarà modesta. Il Cnel (Consiglio nazionale dell'economia e del
          lavoro),  presieduto  da  Antonio  Marzano,  ex  ministro  delle  Attività
          produttive nel secondo governo Berlusconi, stima una perdita di 500 mila
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