Page 7 - L'onorata società
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decisivo per consentire all'Italia di cominciare a controllare la spesa
pubblica (e di conseguenza di entrare nell'euro), Cgil, Cisl e Uil non fanno
altro che dividersi. Le confederazioni si sono arroccate su posizioni di
retroguardia, impegnate a tutelare pensionati e lavoratori già garantiti,
anziché pensare ai giovani, a chi il posto non ce l'ha, alla crescita del
Paese. Il problema della rigidità del nostro mercato del lavoro è un
tormentone che ci accompagna da anni. Quando però si tratta di aprire una
trattativa per modificare i contratti e la contrattazione, Raffaele Bonanni e
Luigi Angeletti vanno da una parte, Guglielmo Epifani da un'altra. Il nuovo
terrorizza.
Tutto vero, tutto giusto. Ma non è che ci dimentichiamo le castine?
Quelle dei parrucchieri che protestano quando si toglie loro il giorno di
riposo del lunedì, dei notai a numero chiuso, dei baroni universitari che
fanno scappare all'estero i migliori cervelli, dei medici che operano a
cottimo per guadagnare di più, dei big dell'industria che sognano il ritorno
ai monopoli e dei piccoli artigiani che non vorrebbero pagare le tasse, dei
banchieri che modificano unilateralmente i costi dei conti correnti e offrono
prestiti tutti alle stesse condizioni? Eccetera eccetera eccetera?
Insieme con il ritornello che incolpa la politica di ogni nefandezza, ce
n'è un altro, uguale e contrario: a salvare l'Italia, se mai si salverà, potrà
essere esclusivamente la società civile. Magari... Quanti appelli
(principalmente da sinistra, per la verità) alla fantomatica società civile.
Romano Prodi, che per un decennio ci ha sperato e ci ha scommesso sopra,
alla fine, nel settembre 2007, durante un Porta a Porta di Bruno Vespa, ha
dovuto ammettere: «Non vedo nella società civile persone migliori che
nella classe politica». Prodi ha perso. E uno dei motivi è questo: la società
civile non esiste. O quanto meno ha gli stessi malcostumi, vive le stesse
contraddizioni, segue gli stessi modelli di comportamento di chi la
rappresenta. Anzi, i nessi di causa ed effetto probabilmente vanno invertiti:
sono proprio i tanti gruppi blindati della società civile a frenare lo sviluppo
del Paese; la politica non è che un loro specchio.
Quando il presidente Giorgio Napolitano, in occasione dello scorso 2
giugno, festa della Repubblica, ha sostenuto che «l'Italia è più unita della
sua classe dirigente», forse ha lanciato un auspicio. La realtà è diversa. Le
castine, o se si preferisce le lobby (in un'Italia che non a caso non ha una
legge che le disciplini), sono fortissime. Le "arciconfraternite del potere",
come le chiamava Guido Carli, ex governatore della Banca d'Italia, una
delle personalità più autorevoli dell'economia nostrana dal dopoguerra agli
anni Novanta, condizionano non solo le scelte legislative e di governo, ma
anche la nostra vita di tutti i giorni. Con i loro interessi di bottega, spesso
corporativi, che vengono regolarmente anteposti a quelli collettivi. Con la