Page 84 - Gomorra
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ragazzini. L'unica scena che riesco a vedere è un carabiniere che urla a un ragazzino
            che gli punta contro un coltello:

                 "Butta a terra! Butta a terra! Subito! Subito! Buttalo a terra!"

                 Il ragazzino lascia cadere. Il carabiniere allontana il coltello con un calcio e questo
            rimbalzando contro un battiscopa fa rientrare la sua lama nel manico. È di plastica, un

            coltello  delle  tartarughe  ninja.  I  militari  intanto  presidiano,  fotografano,  si  muovono
            ovunque.  Decine  di  fortini  vengono  abbattuti.  Sventrati  muri  di  cemento  armato
            edificati nei sottoscala dei palazzi per creare depositi di droga, sfondati i cancelli che
            andavano a chiudere intere porzioni di strade per organizzare i magazzini di droga.


                 Centinaia  di  donne  scendono  per  strada,  bruciano  cassonetti,  lanciano  oggetti
            contro le volanti. Stanno arrestando i loro figli, nipoti, vicini di casa. I loro datori di
            lavoro. Eppure non riuscivo a vedere su quei visi, in quelle parole di rabbia, in quelle
            cosce fasciate da tute così attillate che sembrano sul punto di esplodere, non riuscivo a
            vedere solo una solidarietà criminale. Il mercato della droga è fonte di sostentamento,
            un sostentamento minimo che per la parte maggiore della gente di Secondigliano non ha
            alcun  valore  d'arricchimento.  Gli  imprenditori  dei  clan  sono  gli  unici  ad  averne  un

            vantaggio  esponenziale.  Tutti  quelli  che  lavorano  nell'indotto  di  smercio,  deposito,
            nascondiglio, presidio, non ricevono che stipendi ordinari a fronte di arresti, mesi e
            anni  in  carcere.  Quei  visi  avevano  maschere  di  rabbia.  Una  rabbia  che  sa  di  succo
            gastrico. Una rabbia che è sia difesa del proprio territorio, sia un'accusa contro chi
            quel luogo l'ha sempre considerato inesistente, perduto, da dimenticare.


                 Questo  gigantesco  dispiegamento  di  forze  dell'ordine  che  arriva  all'improvviso
            solo dopo decine di morti, solo dopo il corpo bruciato e torturato di una ragazza del
            quartiere, sembra una messa in scena. Le donne di qui sentono puzza di presa in giro.
            Gli arresti, le ruspe, sembrano qualcosa che non va a modificare lo stato di cose, ma
            solo un'operazione a favore di chi ora ha necessità di arrestare e buttare giù pareti.
            Come se d'improvviso qualcuno cambiasse le categorie d'interpretazione e dicesse che
            la loro vita è sbagliata. Lo sapevano benissimo che lì era tutto sbagliato, non dovevano

            arrivare elicotteri e blindati a ricordarlo, ma sino ad allora quell'errore era la loro
            forma  prima  di  vita,  la  loro  forza  di  sopravvivenza.  In  più  nessuno,  dopo
            quell'irruzione  che  la  complicava  e  basta,  avrebbe  davvero  cercato  di  cambiarla  in
            meglio.  E  allora  quelle  donne  volevano  gelosamente  custodire  l'oblio  di
            quell'isolamento,  di  quell'errore  di  vita  e  cacciare  chi  d'improvviso  s'è  accorto  del

            buio.
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