Page 43 - Gomorra
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calzini,  camicie,  giacche.  Applicando  su  scala  più  vasta  la  loro  antica  esperienza
            mercantile, i magliari si sono trasformati in veri e propri agenti commerciali in grado
            di  vendere  ovunque:  dai  mercati  rionali  ai  centri  commerciali,  dai  parcheggi  alle
            stazioni di servizio. I magliari più capaci potevano fare il salto di qualità e tentare di
            vendere  grosse  partite  di  vestiti  direttamente  ai  dettaglianti.  Alcuni  imprenditori,
            secondo  le  indagini,  organizzavano  la  distribuzione  dei  falsi,  offrendo  assistenza
            logistica agli agenti, ai "magliari". Anticipavano le spese di viaggio e di soggiorno,

            fornivano  furgoni  e  vetture,  in  caso  di  arresto  o  sequestro  dei  capi  garantivano
            l'assistenza  legale.  E  ovviamente  incassavano  il  danaro  delle  vendite.  Affari  che
            fatturavano per ogni famiglia giri annuali di circa trecento milioni di euro.

                 Le  griffe  della  moda  italiana  hanno  cominciato  a  protestare  contro  il  grande

            mercato del falso gestito dai cartelli dei secondiglianesi soltanto dopo che l'Antimafia
            ha scoperto l'intero meccanismo. Prima di allora non avevano progettato una campagna
            pubblicitaria contro i clan, non avevano mai fatto denunce, né avevano informato la
            stampa  rivelando  i  meccanismi  di  produzione  parallela  che  subivano.  È  difficile
            comprendere  perché  le  griffe  non  si  siano  mai  esposte  contro  i  clan.  I  motivi
            potrebbero essere molteplici. Denunciare il grande mercato significava rinunciare per
            sempre alla manodopera a basso costo che utilizzavano in Campania e Puglia. I clan

            avrebbero chiuso i canali d'accesso al bacino delle fabbriche tessili del napoletano e
            ostacolato i rapporti con le fabbriche nell'est Europa e in Oriente. Denunciare avrebbe
            compromesso  migliaia  di  contatti  di  vendita  nei  negozi,  siccome  moltissimi  punti
            commerciali  erano  direttamente  gestiti  dai  clan.  La  distribuzione,  gli  agenti,  e  i
            trasporti in molte parti sono dirette emanazioni delle famiglie. Denunciando avrebbero
            subito impennate dei prezzi nella distribuzione. I clan del resto non commettevano un

            crimine  che  andava  a  rovinare  l'immagine  delle  griffe,  ma  ne  sfruttavano
            semplicemente  il  carisma  pubblicitario  e  simbolico.  Producevano  i  capi  non
            storpiandoli,  non  infangavano  qualità  o  modelli.  Riuscivano  a  non  far  concorrenza
            simbolica alle griffe, ma a diffondere sempre di più prodotti i cui prezzi di mercato li
            avevano resi proibitivi al grande pubblico. Diffondevano il marchio. Se quasi nessuno
            indossa più i capi, se finiscono per essere visibili solo addosso ai manichini di carne
            delle passerelle, il mercato si spegne lentamente e anche il prestigio si indebolisce.

            Del resto nelle fabbriche napoletane venivano prodotti abiti e pantaloni falsi di taglie
            che le griffe, per questioni d'immagine, non producono. I clan invece non si ponevano
            questioni  d'immagine  dinanzi  alla  possibilità  di  profitto.  I  clan  secondiglianesi
            attraverso il falso-vero e il danaro del narcotraffico erano riusciti a comprare negozi e
            centri  commerciali,  dove  sempre  più  spesso  i  prodotti  autentici  e  quelli  vero-falsi

            venivano  mischiati,  impedendo  ogni  distinzione.  Il  Sistema  aveva  in  qualche  modo
            sostenuto l'impero della moda legale, nonostante l'impennata dei prezzi, anzi sfruttando
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