Page 36 - Gomorra
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ancora più repentina. In un unico modo si sarebbero potute salvare le fabbriche cinesi:
fare diventare gli operai esperti dell'alta moda, capaci di lavorare in Italia
sull'eccellenza. Imparare dagli italiani, dai padroncini sparsi per Las Vegas, divenire
non più produttori di paccottiglia ma referenti nel sud Italia delle griffe. Prendere il
posto, le logiche, gli spazi, i linguaggi delle fabbriche in nero italiane e cercare di fare
lo stesso lavoro. Solo a un po' di meno e a qualche ora in più.
Pasquale cacciò della stoffa da una valigetta. Era un vestito che avrebbe dovuto
tagliare e lavorare nella sua fabbrica. Invece fece l'operazione su una scrivania davanti
a una telecamera, che lo riprendeva rimandando l'immagine su un enorme telone appeso
alle sue spalle. Una ragazza con un microfono traduceva in cinese ciò che diceva. Era
la sua quinta lezione.
"Dovete avere massima cura delle cuciture. La cucitura dev'essere leggera, ma non
inesistente."
Il triangolo cinese. San Giuseppe Vesuviano, Terzigno, Ottaviano. E il fulcro
dell'imprenditoria tessile cinese. Tutto quello che accade nelle comunità cinesi d'Italia
è accaduto prima a Terzigno. Le prime lavorazioni, le qualità di produzione, e anche i
primi assassinii. Qui è stato ammazzato Wang Dingjm, un immigrato quarantenne
arrivato in auto da Roma per partecipare a una festa tra connazionali. Lo invitarono e
poi gli spararono in testa. Wang era una testa di serpente, ovvero una guida. Legato ai
cartelli criminali pechinesi che organizzano l'entrata clandestina di cittadini cinesi.
Spesso le diverse teste di serpente si scontrano con i committenti di merce-uomo.
Promettono agli imprenditori un quantitativo di persone che poi in realtà non portano.
Come si uccide uno spacciatore quando ha tenuto per sé una parte del guadagno, così si
uccide una testa di serpente perché ha barato sulla sua merce, sugli esseri umani. Ma a
crepare non sono solo mafiosi. Fuori della fabbrica c'era una foto appesa su una porta.
La foto di una ragazza piccola. Un bel viso, zigomi rosa, occhi neri che sembravano
truccati. Era proprio posta nel punto in cui, nell'iconografia tradizionale, ci si aspetta il
volto giallo di Mao. Era Zhang Xiangbi, una ragazza incinta uccisa e gettata in un pozzo
qualche anno fa. Lei lavorava qui. Un meccanico di queste zone l'aveva adocchiata; lei
passava davanti alla sua officina, a lui era piaciuta e questo credeva fosse condizione
sufficiente per averla. I cinesi lavorano come bestie, strisciano come bisce, sono più
silenziosi dei sordomuti, non possono avere forme di resistenza e di volontà. L'assioma
nella mente di tutti, o quasi tutti, è questo. Zhang invece aveva resistito, aveva tentato
di scappare quando il meccanico l'aveva avvicinata, ma non poteva denunciarlo. Era
cinese, ogni gesto di visibilità è negato. Quando c'ha riprovato, questa volta l'uomo non
ha sopportato il rifiuto. L'ha massacrata di calci sino a farla svenire e poi le ha