Page 30 - Gomorra
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dirgli che in fondo il ragazzo se l'era cercata, che la famiglia non gli aveva
insegnato nulla. Poi, orgogliosa, confessò:
"I miei nipoti anche se disoccupati non avrebbero mai fatto rapine...".
E continuando nervosa:
"Ma cosa aveva imparato questo ragazzo? Niente?"
Il prete guardò per terra. Era in tuta. Non tentò di rispondere, non la guardò neanche
in viso e continuando a fissarsi le scarpe da ginnastica bisbigliò:
"Il fatto è che qui si impara solo a morire".
"Cosa padre?"
"Niente signora, niente."
Ma non tutti qui sono sotto terra. Non tutti sono finiti nel pantano della sconfitta.
Per ora. Esistono ancora fabbriche vincenti. La forza di queste imprese è tale che
riescono a far fronte al mercato della manodopera cinese perché lavorano sulle grandi
griffe. Velocità e qualità. Altissima qualità. Il monopolio della bellezza dei capi
d'eccellenza è ancora loro. Il made in Italy si costruisce qui. Caivano, Sant'Antimo,
Arzano, e via via tutta la Las Vegas campana. "Il volto dell'Italia nel mondo" ha i
lineamenti di stoffa adagiati sul cranio nudo della provincia napoletana. Le griffe non si
fidano a mandare tutto a est, ad appaltare in Oriente. Le fabbriche si ammonticchiano
nei sottoscala, al piano terra delle villette a schiera. Nei capannoni alla periferia di
questi paesi di periferia. Si lavora cucendo, tagliando pelle, assemblando scarpe. In
fila. La schiena del collega davanti agli occhi e la propria dinanzi agli occhi di chi ti è
dietro. Un operaio del settore tessile lavora circa dieci ore al giorno. Gli stipendi
variano da cinquecento a novecento euro. Gli straordinari sono spesso pagati bene.
Anche quindici euro in più rispetto al normale valore di un'ora di lavoro. Raramente le
aziende superano i dieci dipendenti. Nelle stanze dove si lavora campeggia su una
mensola una radio o una televisione. La radio si ascolta per la musica e al massimo
qualcuno canticchia. Ma nei momenti di massima produzione tutto tace e battono
soltanto gli aghi. Più della metà dei dipendenti di queste aziende sono donne. Abili,
nate dinanzi alle macchine per cucire. Qui le fabbriche formalmente non esistono e non
esistono nemmeno i lavoratori. Se lo stesso lavoro di alta qualità fosse inquadrato, i
prezzi lieviterebbero e non ci sarebbe più mercato, e il lavoro volerebbe via dall'Italia.
Gli imprenditori di queste parti conoscono a memoria questa logica. In queste
fabbriche spesso non c'è astio tra operai e proprietari. Qui il conflitto di classe è molle
come un biscotto spugnato. Il padrone spesso è un ex operaio, condivide le ore di
lavoro dei suoi dipendenti, nella stessa stanza, sullo stesso scranno. Quando sbaglia