Page 28 - Gomorra
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Non hanno competenze, talento commerciale, fanno i corrieri. Portano zaini pieni di
hashish oli dei motori tirati al massimo, alle porte della capitale. Non prendono
compensi per questi viaggi, ma dopo circa una ventina di giri gli regalano la moto. Lo
sentono un guadagno prezioso, ineguagliabile quasi, certamente irraggiungibile con
qualsiasi altro mestiere rintracciabile in questo luogo. Ma hanno trasportato merce
capace di fatturare dieci volte il costo della moto. Non lo sanno e non riescono a
immaginarlo. Se un posto di blocco li intercetta subiranno condanne sotto i dieci anni, e
non essendo affiliati non avranno le spese legali pagate né l'assistenza fa miliare
garantita dai clan. Ma in testa c'è il rombo dello scappamento e Roma da raggiungere.
Qualche barricata continuò ancora a sfogarsi ma lentamente, a seconda della
quantità di rabbia nella pancia. Poi tutto sfiatò. I clan non avevano timore della rivolta,
né del clamore. Potevano uccidersi e bruciare per giorni, nulla sarebbe accaduto. Ma
la rivolta non li avrebbe fatti lavorare. Non avrebbe fatto di Parco Verde il serbatoio
d'emergenza da cui attingere sempre manovalanza a prezzo bassissimo. Tutto, e subito,
doveva rientrare. Tutti dovevano tornare al lavoro, o meglio, disponibili al lavoro
eventuale. Il gioco della rivolta doveva finire.
Al funerale di Emanuele c'ero stato. Quindici anni in certi meridiani di mondo sono
solo una somma. Crepare a quindici anni in questa periferia sembra scontare una
condanna a morte piuttosto che essere privati della vita. In chiesa c'erano molti,
moltissimi ragazzi tutti scuri in volto, ogni tanto lanciavano qualche urlo e addirittura
un coretto ritmato fuori dalla chiesa: "Sem-pre con noi, rim-arrai sem-pre con noi...
sempre con noi...". Gli ultra lo scandiscono solitamente quando qualche vecchia gloria
abbandona la maglia. Sembravano allo stadio, ma c'erano solo cori di rabbia. C'erano
poliziotti in borghese che cercavano di stare lontano dalle navate. Tutti li avevano
riconosciuti, ma non c'era spazio per scaramucce. In chiesa riuscii subito a
individuarli; o meglio loro individuarono me, non trovando sul mio viso traccia del
loro archivio mentale. Come per venire incontro alla mia cupezza uno di questi mi si
avvicinò dicendomi: "Questi qua sono tutti pregiudicati. Spaccio, furto, ricettazione,
rapina... qualcuno fa pure le marchette. Non c'è nessuno pulito. Qua più ne muoiono,
meglio è per tutti...".
Parole a cui si risponde con un gancio, o una testata sul setto nasale. Ma era in
realtà il pensiero di tutti. E forse persino un pensiero saggio. Quei ragazzi che si
faranno l'ergastolo per una rapina da 200 euro - feccia, surrogati d'uomini, spacciatori -
li guardavo, uno per uno. Nessuno di loro superava i vent'anni. Padre Mauro, il parroco