Page 21 - Gomorra
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sembravamo  tutti  una  ridicola  band  di  cantanti  rap.  Il  cappuccio  che  credevo  fosse
            necessario per non farsi riconoscere invece serviva solo per proteggerti dagli schizzi
            di acqua gelida e per tentare di scongiurare l'emicrania che in mare aperto a primo
            mattino si inchioda tra le tempie. Un giovane napoletano accese il motore e un altro
            iniziò a guidare lo scafo. Sembravano fratelli. O almeno avevano visi identici. Xian
            non venne con noi. Dopo circa mezz'ora di viaggio ci avvicinammo a una nave. Pareva
            che  ci  andassimo  a  impattare  contro.  Enorme.  Facevo  fatica  a  tirare  su  il  collo  per

            vedere dove terminava la murata. In mare le navi lanciano delle grida di ferro, come
            l'urlo  degli  alberi  quando  vengono  abbattuti,  e  dei  suoni  cupi  di  vuoto  che  ti  fanno
            deglutire almeno due volte un muco al sapore di sale.

                 Dalla nave una carrucola faceva calare a scatti una rete colma di scatoloni. Ogni

            volta che il fagotto sbatteva sui legni dell'imbarcazione, lo scafo beccheggiava al punto
            che  mi  preparavo  già  a  galleggiare.  Invece  non  finii  in  mare.  Le  scatole  non  erano
            pesantissime. Ma dopo averne sistemate a poppa una trentina, avevo i polsi indolenziti
            e gli avambracci rossi per il continuo sfregare con gli spigoli dei cartoni. Il motoscafo
            poi  virò  verso  la  costa,  dietro  di  noi  altri  due  scafi  fiancheggiarono  la  nave  per
            raccogliere altri pacchi. Non erano partiti dal nostro molo. Ma d'improvviso si erano
            accodati alla nostra scia. Sentivo la bocca dello stomaco ricevere schiaffi continui ogni

            qual volta lo scafo faceva battere la prua sul pelo dell'acqua. Poggiai la testa su alcune
            scatole. Tentavo di intuire dall'odore cosa contenessero, attaccai l'orecchio per cercare
            di  capire  dal  rumore  cosa  ci  fosse  lì  dentro.  Iniziò  a  subentrare  un  senso  di  colpa.
            Chissà a cosa avevo partecipato, senza decisione, senza una vera scelta. Dannarmi sì,
            ma almeno con coscienza. Invece ero finito per curiosità a scaricare merce clandestina.
            Si  crede  stupidamente  che  un  atto  criminale  per  qualche  ragione  debba  essere

            maggiormente pensato e voluto rispetto a un atto innocuo. In realtà non c'è differenza. I
            gesti conoscono un'elasticità che i giudizi etici ignorano. Arrivati al molo, i maghrebini
            riuscivano a scendere dallo scafo con due scatolone sulle spalle. Per farmi barcollare
            mi  bastavano  solo  le  mie  gambe.  Sugli  scogli  ci  aspettava  Xian.  Si  avvicinò  a
            un'enorme scatola, aveva già in mano una taglierina, solcò una fascia larghissima di
            scotch  che  chiudeva  due  ali  di  carta.  Erano  scarpe.  Scarpe  da  ginnastica,  originali,
            delle  marche  più  celebri.  Modelli  nuovi,  nuovissimi  ancora  non  in  circolazione  nei

            negozi italiani. Temendo un controllo della Finanza, aveva preferito scaricare in mare
            aperto. Una parte della merce poteva così essere immessa senza la zavorra delle tasse,
            i grossisti le avrebbero prese senza le spese doganali. La concorrenza si vinceva sugli
            sconti. Stessa qualità di merce, ma quattro, sei, dieci per cento di sconto. Percentuali
            che  nessun  agente  commerciale  avrebbe  potuto  proporre  e  le  percentuali  di  sconto

            fanno crescere o morire un negozio, permettono di aprire centri commerciali, di avere
            entrate  sicure  e  con  le  entrate  sicure  le  fideiussioni  bancarie.  I  prezzi  devono
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