Page 16 - Gomorra
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La prima volta che ho visto attraccare una nave cinese mi pareva di stare dinanzi a
tutta la produzione del mondo. Gli occhi non riuscivano a contare, quantificare, il
numero di container presenti. Non riuscivo a tenerne il conto. Può apparire impossibile
non riuscire a procedere con i numeri, eppure il conto si perdeva, le cifre diventavano
troppo elevate, si mescolavano.
A Napoli ormai si scarica quasi esclusivamente merce proveniente dalla Cina,
1.600.000 tonnellate. Quella registrata. Almeno un altro milione passa senza lasciare
traccia. Nel solo porto di Napoli, secondo l'Agenzia delle Dogane, il 60 per cento
della merce sfugge al controllo della dogana, il 20 per cento delle bollette non viene
controllato e vi sono cinquantamila contraffazioni: il 99 per cento è di provenienza
cinese e si calcolano duecento milioni di euro di tasse evase a semestre. I container che
devono scomparire prima di essere ispezionati si trovano nelle prime file. Ogni
container è regolarmente numerato, ma ce ne sono molti con la stessa identica
numerazione. Così un container ispezionato battezza tutti i suoi omonimi illegali.
Quello che il lunedì si scarica, il giovedì può vendersi a Modena o Genova o finire
nelle vetrine di Bonn e Monaco. Molta parte della merce che viene immessa nel
mercato italiano avrebbe dovuto fare soltanto transito, ma le magie delle dogane
permettono che il transito poi diventi fermo. La grammatica delle merci ha una sintassi
per i documenti e un'altra per il commercio. Nell'aprile 2005, in quattro operazioni,
scattate quasi per caso, a poca distanza le une dalle altre, il Servizio di Vigilanza
Antifrode della Dogana aveva sequestrato ventiquattromila jeans destinati al mercato
francese; cinquantunomila oggetti provenienti dal Bangladesh con il marchio made in
Italy; e circa quattrocentocinquantamila personaggi, pupazzi, barbie, spiderman; più
altri qua-rantaseimila giocattoli di plastica per un valore complessivo di circa trentasei
milioni di euro. Una fettina d'economia, in una manciata di ore stava passando per il
porto di Napoli. E dal porto al mondo. Non c'è ora o minuto in cui questo non accada.
E le fettine di economia divengono lacerti, e poi quarti e interi manzi di commercio.
Il porto è staccato dalla città. Un'appendice infetta mai degenerata in peritonite,
sempre conservata nell'addome della costa. Ci sono parti desertiche rinchiuse tra
l'acqua e la terra, ma che sembrano non appartenere né al mare né alla terra. Un anfibio
di terra, una metamorfosi marina. Terriccio e spazzatura, anni di rimasugli portati a
riva dalle maree hanno creato una nuova formazione. Le navi scaricano le loro latrine,
puliscono stive lasciando colare la schiuma gialla in acqua, i motoscafi e i panfili
spurgano motori e rassettano raccogliendo tutto nella pattumiera marina. E rutto si
raccoglie sulla costa, prima come massa molliccia e poi crosta dura. Il sole accende il
miraggio di mostrare un mare fatto d'acqua. In realtà la superficie del golfo somiglia