Page 18 - Gomorra
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nelle case-magazzino. Ero andato per cercare una stanza, trovai un lavoro. Di mattina si
            abbattevano le pareti, la sera si raccoglievano i resti di cemento, parati e mattoni. Si
            cumulavano  le  macerie  in  normali  sacchi  d'immondizia.  Buttare  giù  un  muro  genera
            rumori inaspettati. Non di sasso colpito ma come di cristalli gettati giù da un tavolo con
            una manata. Ogni casa diveniva un magazzino senza mura. Non so spiegarmi come il
            palazzo  dove  ho  lavorato  possa  ancora  stare  in  piedi.  Più  volte  abbiamo  abbattuto
            diversi muri maestri, consapevoli di farlo. Ma serviva lo spazio per la merce e non c'è

            equilibrio di cemento da conservare dinanzi alla conservazione dei prodotti.

                 Il  progetto  di  stipare  i  pacchi  nelle  case  era  nato  nella  mente  di  alcuni
            commercianti  cinesi  dopo  che  l'autorità  portuale  di  Napoli  aveva  presentato  a  una
            delegazione del Congresso americano il piano sulla security. Quest'ultimo prevede una

            divisione  del  porto  in  quattro  aree:  crocieristica,  del  cabotaggio,  delle  merci  e  dei
            container e una individuazione, per ciascuna area, dei rischi. Dopo la pubblicazione di
            questo piano-security, per evitare che si potesse costringere la polizia a intervenire, i
            giornali a scriverne per troppo tempo, e persino qualche telecamera a intrufolarsi in
            cerca di qualche succosa scena, molti imprenditori cinesi decisero che tutto doveva
            essere  sommerso  da  maggiore  silenzio.  Anche  a  causa  di  un  innalzamento  dei  costi
            bisognava rendere ancor più impercettibile la presenza delle merci. Farla scomparire

            nei capannoni affittati nelle sperdute campagne della provincia, tra discariche e campi
            di  tabacco:  ma  questo  non  eliminava  il  traffico  di  Tir.  Così  dal  porto  entravano  e
            uscivano ogni giorno non più di dieci furgoncini, carichi di pacchi sino a esplodere.
            Dopo  pochi  metri  si  trovavano  nei  garage  dei  palazzi  di  fronte  al  porto.  Entrare  e
            uscire, bastava solo questo.


                 Movimenti inesistenti, impercettibili, persi nelle manovre quotidiane del traffico.
            Case prese in fitto. Sfondate. Garage resi tutti comunicanti tra loro, cantine ricolme
            sino  al  tetto  di  merce.  Nessun  proprietario  osava  lamentarsi.  Xian  gli  aveva  pagato
            tutto. Fitto e indennizzo per gli abbattimenti impropri. Migliaia di pacchi salivano su un
            ascensore  ristrutturato  come  un  montacarichi.  Una  gabbia  d'acciaio  ficcata  dentro  i
            palazzi  che  faceva  scorrere  sui  suoi  binari  una  pedana  che  saliva  e  scendeva  di
            continuo. Il lavoro era concentrato in poche ore. La scelta dei pacchi non era casuale.

            Mi capitò di scaricare ai primi di luglio. Un lavoro che rende bene ma che non puoi
            fare  se  non  sotto  costante  allenamento.  Il  caldo  era  umidissimo.  Nessuno  osava
            chiedere un condizionatore.
                 Nessuno.  E  non  dipendeva  da  timori  di  punizione  o  da  particolari  culture
            d'obbedienza e sottomissione. Le persone che scaricavano provenivano da ogni angolo

            della terra. Ghanesi, ivoriani, cinesi, albanesi, e poi napoletani, calabresi, lucani.
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