Page 15 - Gomorra
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comprendere come l'immensità della produzione cinese possa poggiare sullo scalino
del porto napoletano. L'immagine evangelica sembra appropriata, la cruna dell'ago
somiglia al porto e il cammello che l'attraverserà sono le navi. Prue che si scontrano,
file indiane di enormi bastimenti fuori dal golfo che aspettano la loro entrata tra
confusione di poppe che beccheggiano, rumoreggiando con languori di ferri, lamiere e
bulloni che lentamente entrano nel piccolo foro napoletano. Come un ano di mare che si
allarga con grande dolore degli sfinteri.
Eppure no. Non è così. Nessuna confusione apparente. Tutte le navi entrano ed
escono con regolare ordine o almeno così sembra a osservare dalla terra ferma. Eppure
centocinquantamila container transitano da qui. Intere città di merci si edificano sul
porto per poi essere trasportate via. La qualità del porto è la velocità, ogni lentezza
burocratica, ogni controllo meticoloso mutano il ghepardo del trasporto in un bradipo
lento e pesante.
Mi perdo sempre al molo. Il molo Bausan è identico alle costruzioni Lego. Una
struttura immensa, ma che sembra non avere spazio, piuttosto pare inventarselo. C'è un
angolo del molo che sembra un reticolo di vespai. Arnie bastarde che riempiono una
parete. Sono migliaia di prese elettriche per l'alimentazione dei contenitori reefer, i
container con i cibi surgelati e le code attaccate a questo vespaio. Tutti i sofficini e i
bastoncini di pesce della terra sono stipati in quei contenitori ghiacciati. Quando vado
al molo Bausan ho la sensazione di vedere da dove passano tutte le merci prodotte per
l'umana specie. Dove trascorrono l'ultima notte prima di essere vendute. Come fissare
l'origine del mondo. In poche ore transitano per il porto i vestiti che indosseranno i
ragazzini parigini per un mese, i bastoncini di pesce che mangeranno a Brescia per un
anno, gli orologi che copriranno i polsi dei catalani, la seta di tutti i vestiti inglesi
d'una stagione. Sarebbe interessante poter leggere da qualche parte non soltanto dove la
merce viene prodotta, ma persino che tragitto ha fatto per giungere nelle mani
dell'acquirente. I prodotti hanno cittadinanze molteplici, ibride e bastarde. Nascono per
metà nel centro della Cina, poi si completano in qualche periferia slava, si
perfezionano nel nord est d'Italia, si confezionano in Puglia o a nord di Tirana, per poi
finire in chissà quale magazzino d'Europa. La merce ha in sé tutti i diritti di
spostamento che nessun essere umano potrà mai avere. Tutti i frammenti di strada, i
percorsi accidentali e ufficiali trovano punto fermo a Napoli. Quando al molo
attraccano le navi, gli enormi full-containers sembrano animali leggeri, ma appena
entrano nel golfo lentamente, avvicinandosi al molo, divengono pesanti mammut di
lamiere e catene con nei fianchi suture arrugginite che colano acqua. Navi su cui ti
immagini vivano equipaggi numerosissimi, e invece scaricano manipoli di ometti che
pensi incapaci di domare quei bestioni in pieno oceano.