Page 13 - Gomorra
P. 13
Il porto
Il container dondolava mentre la gru lo spostava sulla nave. Come se stesse
galleggiando nell'aria, lo sprider, il meccanismo che aggancia il container alla gru, non
riusciva a domare il movimento. I portelloni mal chiusi si aprirono di scatto e
iniziarono a piovere decine di corpi. Sembravano manichini. Ma a terra le teste si
spaccavano come fossero crani veri. Ed erano crani. Uscivano dal container uomini e
donne. Anche qualche ragazzo. Morti. Congelati, tutti raccolti, l'uno sull'altro. In fila,
stipati come aringhe in scatola. Erano i cinesi che non muoiono mai. Gli eterni che si
passano i documenti l'uno con l'altro. Ecco dove erano finiti. I corpi che le fantasie più
spinte immaginavano cucinati nei ristoranti, sotterrati negli orti d'intorno alle fabbriche,
gettati nella bocca del Vesuvio. Erano lì. Ne cadevano a decine dal container, con il
nome appuntato su un cartellino annodato a un laccetto intorno al collo. Avevano tutti
messo da parte i soldi per farsi seppellire nelle loro città in Cina. Si facevano
trattenere una percentuale dal salario, in cambio avevano garantito un viaggio di
ritorno, una volta morti. Uno spazio in un container e un buco in qualche pezzo di terra
cinese. Quando il gruista del porto mi raccontò la cosa, si mise le mani in faccia e
continuava a guardarmi attraverso lo spazio tra le dita. Come se quella maschera di
mani gli concedesse più coraggio per raccontare. Aveva visto cadere corpi e non aveva
avuto bisogno neanche di lanciare l'allarme, di avvertire qualcuno. Aveva soltanto fatto
toccare terra al container, e decine di persone comparse dal nulla avevano rimesso
dentro tutti e con una pompa ripulito i resti. Era così che andavano le cose. Non
riusciva ancora a crederci, sperava fosse un'allucinazione dovuta agli eccessivi
straordinari. Chiuse le dita coprendosi completamente il volto e continuò a parlare
piagnucolando, ma non riuscivo più a capirlo.
Tutto quello che esiste passa di qui. Qui dal porto di Napoli. Non v'è manufatto,
stoffa, pezzo di plastica, giocattolo, martello, scarpa, cacciavite, bullone, videogioco,
giacca, pantalone, trapano, orologio che non passi per il porto. Il porto di Napoli è una
ferita. Larga. Punto finale dei viaggi interminabili delle merci. Le navi arrivano, si
immettono nel golfo avvicinandosi alla darsena come cuccioli a mammelle, solo che
loro non devono succhiare, ma al contrario essere munte. Il porto di Napoli è il buco
nel mappamondo da dove esce quello che si produce in Cina, Estremo Oriente come
ancora i cronisti si divertono a definirlo. Estremo. Lontanissimo. Quasi
inimmaginabile. Chiudendo gli occhi appaiono kimono, la barba di Marco Polo e un