Page 206 - Gomorra
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Non  avevano  ancora  la  patente  quando  iniziarono  a  assediare  le  comitive  di
            coetanei di Casale e San Cipriano d'Aversa. Non ce l'avevano perché nessuno dei due
            aveva diciotto anni. Erano due bulli. Spacconi, buffoni, mangiavano lasciando come
            mancia il doppio del conto. Camicia aperta sul petto con pochi peli, una camminata
            declamata ad alta voce, come se ogni passo dovesse essere rivendicato. Mento alto,
            un'ostentazione di sicurezza e potere, reali solo nella mente dei due. Giravano sempre
            in coppia. Giuseppe faceva il boss, sempre un passo avanti rispetto al compare. Romeo

            faceva  il  suo  guardiaspalle,  la  parte  del  braccio  destro,  l'uomo  fedele.  Spesso
            Giuseppe  lo  chiamava  Donnie,  come  Donnie  Brasco.  Anche  se  era  un  poliziotto
            infiltrato,  il  fatto  che  diventi  un  mafioso  vero,  nell'anima,  lo  salva,  agli  occhi  degli
            ammiratori  da  questo  peccato  originale.  Ad  Aversa  facevano  tremare  i  neopatentati.
            Preferivano le coppiette, tamponavano l'auto con il motorino, e quando scendevano per

            raccogliere i dati per l'assicurazione, uno dei due si avvicinava alla ragazza, le sputava
            in faccia e aspettavano che il fidanzato reagisse per poterlo pestare a sangue. I due
            sfidavano però anche gli adulti, anche quelli che contavano davvero. Andavano nelle
            loro zone d'influenza e facevano ciò che volevano. Provenivano da Casal di Principe e
            nell'immaginario  questo  bastava.  Volevano  far  capire  che  erano  davvero  persone
            temibili e da rispettare, chiunque si avvicinava loro doveva fissare i propri piedi e non
            trovare neanche il coraggio di guardarli in faccia. Un giorno però alzarono troppo il

            tiro della loro spacconeria. Scesero in strada con una mitraglietta, racimolata chissà in
            quale armeria dei clan, e si presentarono dinanzi a un gruppetto di ragazzi. Dovevano
            essersi addestrati bene perché spararono contro il gruppetto curandosi di non colpire
            nessuno,  ma  solo  di  far  sentire  il  puzzo  della  polvere  da  sparo  e  il  sibilare  dei
            proiettili. Prima di sparare però uno dei due aveva recitato qualcosa. Nessuno aveva
            capito cosa blaterava, ma un testimone aveva detto che gli sembrava la Bibbia, e aveva

            ipotizzato che i ragazzini stessero preparandosi alla cresima. Ma smozzicando un po' di
            frasi era evidente che non era un brano da cresima. Era la Bibbia, in effetti, appresa
            non  dal  catechismo,  ma  da  Quentin  Tarantino.  Era  il  brano  pronunciato  da  Jules
            Winnfield in Pulp Fiction prima di ammazzare il ragazzotto che aveva fatto sparire la
            preziosissima valigetta di Marcellus Wallace:

                 Ezechiele 25,17: “Il  cammino  dell'uomo  timorato  è  minacciato  da  ogni  parte

            dall'iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia
            colui che nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la
            valle delle tenebre perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei
            figli  smarriti  e  la  mia  giustizia  calerà  sopra  di  loro  con  grandissima  vendetta  e
            furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare e distruggere i miei

            fratelli e tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia
            vendetta sopra di te.”
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