Page 201 - Gomorra
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attaccati alle pareti, un quadretto annerito con due piccoli angioletti, forse messo alla
            testa del letto. Il ritaglio di un giornale: "L'Albanova affila le armi". L'Albanova era la
            squadra di Casal di Principe e San Cipriano d'Aversa, sciolta dall'Antimafia nel 1997,
            costruita  con  i  soldi  del  clan,  una  squadra-giocattolo  per  i  boss.  Quei  ritagli
            bruciacchiati attaccati all'intonaco marcio era ciò che rimaneva del figlio di Walter,
            morto in un incidente stradale ancora adolescente. Dal balcone si aveva la vista del
            giardino  antistante,  disseminato  di  palme,  c'era  anche  un  laghetto  artificiale  con  un

            ponticello in legno che conduceva su un piccolo isolotto di piante e alberi contenuto da
            un muro a secco. In questa zona della casa, quando ancora la famiglia Schiavone ci
            abitava,  scorazzavano  i  cani,  i  molossi,  ennesime  tracce  della  messa  in  scena  del
            potere. Alle spalle della villa si stendeva un prato con una piscina elegante disegnata
            come un'ellisse sghemba, per permettere alle palme di fare ombra durante le giornate

            estive.  Questa  parte  della  villa  era  copiata  dal  bagno  di  Venere,  vera  perla  del
            Giardino  Inglese  della  Reggia  di  Caserta.  La  statua  della  dea  si  adagiava  sul  pelo
            dell'acqua con la stessa grazia di quella vanvitellana. La villa è stata abbandonata dopo
            l'arresto del boss, avvenuto nel 1996 proprio in queste stanze. Walter non ha fatto come
            il fratello Sandokan che - latitante - si era fatto costruire sotto la sua enorme villa al
            centro di Casal di Principe un rifugio profondo e principesco. Sandokan, da latitante, si
            rifugiava in un fortino senza porte e finestre, con cunicoli e grotte naturali in grado di

            fornire  vie  di  fuga  di  emergenza,  ma  anche  un  appartamento  di  cento  metri  quadri
            perfettamente organizzato.

                 Un  appartamento  surreale,  illuminato  da  luci  al  neon  e  pavimenti  di  maiolica
            bianca.  Il  bunker  era  munito  di  videocitofono,  aveva  due  accessi,  impossibili  da
            identificare  dall'esterno.  Praticamente  quando  si  arrivava  non  si  trovavano  porte,

            poiché in realtà queste si aprivano solo lasciando scorrere pareti di cemento armato su
            binari. Quando c'era pericolo di perquisizioni il boss, dalla sala da pranzo, attraverso
            una botola nascosta raggiungeva una serie di cunicoli, ben undici, collegati tra loro, che
            sottoterra costituivano una specie di "ridotta", l'ultimo rifugio, dove Sandokan aveva
            fatto sistemare delle tende da campo. Un bunker nel bunker. Per beccarlo, nel 1998 la
            DIA aveva fatto appostamenti per un anno e sette mesi, arrivando a sfondare il muro
            con  una  sega  elettrica  per  accedere  al  nascondiglio.  Solo  dopo,  quando  Francesco

            Schiavone si era arreso, è stato possibile individuare l'accesso principale nel deposito
            di una villa in via Salerno, tra cassette di plastica vuote e attrezzi da giardinaggio. Nel
            bunker non mancava nulla. C'erano due frigoriferi che contenevano generi alimentari
            sufficienti a sfamare almeno sei persone per una dozzina di giorni. Un'intera parete era
            occupata  da  un  sofisticato  impianto  stereo,  con  videoregistratori  e  proiettori.  La

            Scientifica  della  Questura  di  Napoli  aveva  impiegato  dieci  ore  per  controllare  gli
            impianti di allarme e i sistemi di chiusura dei due accessi. Nel bagno non mancava la
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