Page 168 - Gomorra
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"Adelphi" sulle ecomafie, era il contatto tra la camorra casalese e alcuni massoni, e si
            incontrava  molto  spesso  per  affari  direttamente  con  Licio  Gelli.  Affare  che  gli
            inquirenti sono riusciti a scoprire nel volume finanziario di una sola impresa coinvolta
            e che è stato quantificato in oltre trentacinque milioni di euro. I due boss, Bidognetti e
            Schiavone, entrambi in galera, entrambi con ergastoli sulle spalle, avrebbero potuto
            tentare di sfruttare ognuno la condanna dell'altro per sguinzagliare i propri uomini e
            tentare di eliminare il clan rivale. Ci fu un momento in cui tutto sembrò crollare in un

            enorme conflitto, di quelli che portano morti a grappolo ogni giorno.

                 Nella primavera del 2005 il figlio più piccolo di Sandokan era andato a una festa a
            Parete,  territorio  dei  Bidognetti,  e  qui  aveva  iniziato  -  secondo  le  indagini  -  a
            corteggiare una ragazza, nonostante questa fosse già accompagnata. Il rampollo degli

            Schiavone era senza scorta e credeva che il solo fatto di essere figlio di Sandokan lo
            avrebbe  reso  immune  da  ogni  tipo  di  aggressione.  Non  andò  così.  Un  gruppetto  di
            persone lo trascinò fuori casa e lo riempì di schiaffi, di pugni e calci nel sedere. Dopo
            il mazziatone dovette correre in ospedale a farsi suturare la testa. Il giorno dopo una
            quindicina di persone, in moto e in macchina, si presentarono dinanzi al bar Penelope,
            dove si ritrovavano solitamente i ragazzi che avevano pestato il rampollo. Entrarono
            con mazze da baseball e sfasciarono ogni cosa, pestarono a sangue chiunque si trovasse

            dentro, ma non riuscirono a individuare i responsabili dell'affronto a Schiavone, che
            molto probabilmente erano riusciti a scappare, forse da un'altra uscita del bar. Allora il
            commando li aveva rincorsi in strada e aveva iniziato a sparare una decina di colpi, tra
            la gente, in piazza, colpendo all'addome un passante. Per risposta il giorno dopo tre
            moto  giunsero  al  caffè  Matteotti  di  Casal  di  Principe,  dove  spesso  si  ritrovano  gli
            affiliati più giovani del clan Schiavone. I motociclisti scesero lentamente, per dare il

            tempo ai passanti di scappare, e iniziarono anche loro a sfasciare ogni cosa. Vennero
            segnalate scazzottate e più di sedici accoltellati. L'aria era pesante, una nuova guerra
            era pronta a partire.

                 A far aumentare la tensione giunse inaspettata la confessione di un pentito, Luigi
            Diana,  il  quale  aveva  dichiarato,  secondo  un  giornale  locale,  che  Bidognetti  era  il
            responsabile  del  primo  arresto  di  Schiavone,  era  lui  che  aveva  collaborato  con  i

            carabinieri rivelando la latitanza in Francia del boss. Le batterie di fuoco si stavano
            preparando e i carabinieri erano pronti a raccogliere i cadaveri della mattanza. Tutto fu
            fermato da Sandokan stesso, con un gesto pubblico. Nonostante il regime di carcere
            duro riuscì a mandare una lettera aperta a un giornale locale, pubblicata il 21 settembre
            2005  direttamente  in  prima  pagina.  Il  boss,  come  un  manager  affermato,  risolse  il

            conflitto smentendo ciò che aveva detto il pentito, a cui tra l'altro poche ore dopo il
            pentimento avevano ucciso un familiare:
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