Page 163 - Gomorra
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numerose violazioni delle leggi in materia di armi, oltre che per estorsione. Lo
beccarono mentre era andato a fare la spesa con la sua compagna romena, Luiza Boetz
di venticinque anni. Cicciariello si faceva chiamare Antonio e risultava un semplice
imprenditore italiano di cinquantuno anni. Ma che qualcosa non andasse nella sua vita,
la compagna doveva averlo intuito, visto che Luiza, per raggiungerlo a Krosno, vicino
a Cracovia, in Polonia, aveva fatto un giro tortuoso in treno, per depistare eventuali
segugi di polizia. Un viaggio con varie tappe, l'avevano pedinata attraverso tre
frontiere e poi l'inseguimento in auto fino alla periferia della città polacca. Cicciariello
l'avevano fermato alla cassa del supermercato, si era tagliato i baffi, stirato i capelli
crespi, era dimagrito. Si era trasferito in Ungheria ma continuava a incontrare la sua
compagna in Polonia. Aveva enormi affari, allevamenti, terre edificabili acquistate,
mediazioni con imprenditori del luogo. Il rappresentante italiano del SECI, il centro
dell'Europa sud-orientale contro la criminalità transfrontaliera, aveva denunciato che
Schiavone e i suoi uomini andavano spesso in Romania e avevano avviato affari
importanti nelle città di Barlad (est del paese), Sinaia (centro), Cluj (ovest) e anche sul
litorale del Mar Nero. Cicciariello Schiavone aveva due amanti: oltre a Luiza Boetz
anche Cristina Coremanciau, anche lei romena. A Casale la notizia del suo arresto, "per
mezzo di una donna", sembrò giungere come uno sberleffo al boss. Un giornale locale
titolò, quasi come per sbeffeggiarlo, "Cicciariello arrestato con l'amante". In realtà le
due amanti erano vere e proprie manager che avevano curato per lui gli investimenti in
Polonia e Romania, divenendo fondamentali per i suoi affari. Cicciariello era uno degli
ultimi boss della famiglia Schiavone a essere arrestato. Molti dirigenti e gregari del
clan dei Casalesi erano finiti dentro in vent'anni di potere e faide. Il maxiprocesso
"Spartacus", chiamato come il gladiatore ribelle che proprio da queste terre tentò la più
grande insurrezione che Roma avesse conosciuto, raccoglieva la summa delle indagini
contro il cartello dei Casalesi e tutte le sue diramazioni.
Il giorno della sentenza andai al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Infilai la
mia Vespa in un interstizio tra due auto, e riuscii a entrare in tribunale. Mi aspettavo
telecamere, macchine fotografiche. Ce n'erano pochissime, e solo di giornali e tv
locali. Carabinieri e poliziotti invece erano dappertutto. Circa duecento. Due elicotteri
sorvolavano il tribunale a bassa quota, lasciando entrare il rumore delle pale nelle
orecchie di tutti. Cani antibomba, volanti. Una tensione altissima. Eppure la stampa
nazionale e le tv erano assenti. Il più grande processo contro un cartello criminale per
numero di imputati e condanne proposte era stato completamente ignorato dai media.
Gli addetti ai lavori conoscono il processo "Spartacus" per un numero: 3615, che è il
numero del registro generale attribuito all'inchiesta con circa milletrecento inquisiti
avviata dalla DDA nel 1993, partendo dalle dichiarazioni di Carmine Schiavone.