Page 158 - Gomorra
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Imprenditori. Così si definiscono i camorristi del casertano: null'altro che
imprenditori. Un clan formato da azienda-listi violenti, manager killer, da edili e
proprietari terrieri. Ognuno con le proprie bande armate, consorziati tra loro con
interessi in ogni ambito economico. La forza del cartello dei Casalesi è sempre stata
quella di trattare grandi partite di droga senza avere necessità di alimentare un mercato
interno. La grande piazza romana è il loro riferimento di spaccio, ma molta più
rilevanza ha assunto il carattere di mediazione nella compravendita di grosse partite.
Gli atti della Commissione Antimafia del 2006 segnalano che i Casalesi rifornivano di
droga le famiglie palermitane. L'alleanza con i clan nigeriani e albanesi gli ha
permesso di emanciparsi dalla gestione diretta dello spaccio e del narcotraffico. I patti
con i clan nigeriani di Lagos e Benin City, le alleanze con le famiglie mafiose di
Pristina e Tirana, gli accordi con i mafiosi ucraini di Leopoli e Kiev avevano
emancipato i clan Casalesi dalle attività criminali di primo livello. Allo stesso tempo i
Casalesi ricevevano un trattamento privilegiato negli investimenti compiuti nei paesi
dell'est e nell'acquisto di coca dai trafficanti internazionali con basi in Nigeria. I nuovi
leader, le nuove guerre, tutto era avvenuto dopo l'esplosione del clan Bardellino,
origine del potere imprenditoriale della camorra di queste terre. Antonio Bardellino,
dopo aver raggiunto un dominio totale in ogni ambito economico legale e illegale, dal
narcotraffico all'edilizia, si era stabilito a Santo Domingo con una nuova famiglia.
Aveva dato ai figli sudamericani gli stessi nomi di quelli di San Cipriano, un modo
semplice e comodo per non confondersi. I suoi uomini più fedeli avevano in mano le
redini del clan sul territorio. Erano usciti indenni dalla guerra con Cutolo, avevano
sviluppato aziende e autorevolezza, si erano espansi ovunque, in Italia settentrionale e
all'estero. Mario Iovine, Vincenzo De Falco, Francesco Schiavone "Sandokan",
Francesco Bidognetti "Cicciotto di Mezzanotte", Vincenzo Zagaria erano i capi della
confederazione Casalese. All'inizio degli anni '80 Cicciotto di Mezzanotte e Sandokan
erano responsabili militari, ma anche imprenditori con interessi in ogni ambito,
avevano ormai maturato la possibilità di dirigere l'enorme multicefalo della
confederazione. Trovavano però in Mario Iovine, un boss troppo legato a Bardellino,
un capo restio a una scelta d'autonomia. Attuarono così una strategia sibillina, ma
politicamente efficace. Usarono le spigolosità della diplomazia camorristica nell'unico
modo che poteva permettere di realizzare i loro scopi: fare scoppiare una guerra
interna al sodalizio.
Come racconta il pentito Carmine Schiavone, i due boss pressarono Antonio
Bardellino per farlo ritornare in Italia e spingerlo a eliminare Mimi Iovine, fratello di
Mario, che aveva un mobilificio ed era formalmente estraneo alle dinamiche di
camorra, ma che secondo i due boss aveva per troppe volte svolto il ruolo di
confidente dei carabinieri. Per convincere il boss gli avevano raccontato che persino