Page 153 - Gomorra
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Prima del sequestro, sentii parlare di questo fucile da un povero cristo, un pastore,
uno di quegli emaciati contadini italiani che ancora si aggirano, col loro gregge, per le
campagne che circoscrivono i viadotti autostradali e i casermoni di periferia. Spesso
questo pastore trovava le sue pecore divise in due, spaccate piuttosto che tagliate,
questi corpi magrissi-mi di pecore napoletane dal cui manto si vedono persino le
costole, che masticano erba pregna di diossina che fa marcire i denti e ingrigire la lana.
Il pastore credeva fosse un'avvisaglia, una provocazione dei suoi miserabili
concorrenti di greggi malati. Non capiva. In realtà i fabbricanti del tubo provavano su
animali leggeri la potenza del colpo. Le pecore erano il bersaglio migliore per capire
nell'immediato la forza dei proiettili e la qualità dell'arma. Lo si comprendeva da
quanto l'impatto le faceva capovolgere e spezzare in due nell'aria come bersagli di un
videogame.
La questione delle armi è tenuta nascosta nel budello dell'economia, chiusa in un
pancreas di silenzio. L'Italia spende in armi ventisette miliardi di dollari. Più soldi
della Russia, il doppio di Israele. La classifica l'ha stesa l'Istituto internazionale di
Stoccolma per la ricerca sulla pace, il SIPRI. Se a questi dati dell'economia legale si
aggiunge che secondo l'EURISPES tre miliardi e trecento milioni è il business delle
armi in mano a camorra, 'ndrangheta, Cosa Nostra e Sacra Corona Unita gestiscono,
significa che seguendo l'odore delle armi che Stato e clan gestiscono si arriva ai tre
quarti delle armi che circolano in mezzo mondo. Il cartello dei Casalesi è in assoluto il
gruppo imprenditorial-criminale capace di fornire sul piano internazionale referenti
non solo di gruppi, ma di interi eserciti. Durante la guerra anglo-argentina del 1982, la
guerra delle Falkland, l'Argentina visse il suo periodo di isolamento economico più
cupo. Così la camorra entrò in affari con la difesa argentina divenendo l'imbuto
attraverso cui far discendere le armi che nessuno le avrebbe venduto ufficialmente. I
clan si erano equipaggiati per una lunga guerra, invece il conflitto era iniziato a marzo
e a giugno già se ne vedeva la conclusione. Pochi colpi, pochi morti, pochi consumi.
Una guerra che serviva più ai politici che agli imprenditori, più alla diplomazia che
all'economia. Ai clan casertani non conveniva svendere per accaparrarsi un guadagno
immediato. Il giorno stesso in cui venne decretata la fine del conflitto fu intercettata dai
servizi segreti inglesi, una telefonata intercontinentale tra l'Argentina e San Cipriano
d'Aversa. Due sole frasi, sufficienti però a comprendere la potenza delle famiglie
casertane e la loro capacità diplomatica:
"Pronto?"
"Sì."
"Qua la guerra è finita, mo che dobbiamo fare?"