Page 157 - Gomorra
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Bardellino, ma senza successo. I siciliani, durante la prima fase di ascesa della Nuova
Camorra Organizzata, tentarono di eliminare anche Raffaele Cutolo. Mandarono un
killer, Mimmo Bruno, con un traghetto da Palermo, ma questi venne ucciso appena
messo piede fuori dal porto. Cosa Nostra ha avuto nei confronti dei Casalesi sempre
una sorta di rispetto e soggezione, ma quando, nel 2002, i Casalesi uccisero Raffaele
Lubrano - boss di Pignataro Maggiore vicino Capua - uomo affiliato a Cosa Nostra,
combinato direttamente da Totò Runa, in molti temevano lo scoppio di una faida.
Ricordo che il giorno dopo l'agguato un giornalaio, vendendo il quotidiano locale, si
rivolse al cliente biascicando tra i denti i suoi timori:
"Mo se vengono a combattere pure i siciliani perdiamo la pace per tre anni."
"Quali siciliani? I manosi?"
"Sì, i mafiosi."
"Quelli si devono inginocchiare davanti ai Casalesi e succhiare. Solo questo
devono fare, zucare tutto e basta."
Una delle dichiarazioni che più mi avevano sconvolto sui mafiosi siciliani l'aveva
rilasciata Cannine Schiavone, pentito del clan dei Casalesi, in un'intervista del 2005.
Parlava di Cosa Nostra come di un'organizzazione schiava dei politici, incapace di
ragionare in termini di affari, come invece facevano i camorristi casertani. Per
Schiavone la mafia voleva porsi come anti-Stato, e questo non era un discorso da
imprenditori. Non esiste il paradigma Stato-anti Stato. Ma solo un territorio in cui si
fanno affari: con, attraverso e senza lo Stato:
Noi vivevamo con lo Stato. Per noi lo Stato doveva esistere e doveva essere quello
Stato che c'era, solo che noi avevamo una filosofia diversa dai siciliani. Mentre Runa
usciva da un isolamento isolano, da montagna, vecchio pecoraio insomma, noi
avevamo superato questi limiti, noi volevamo vivere con lo Stato. Se qualcuno nello
Stato ci faceva ostruzionismo, ne trovavamo un altro disposto a favorirci. Se era un
politico non lo votavamo, se era uno delle istituzioni si trovava il metodo per
raggirare.
Carmine Schiavone, cugino del boss Sandokan, fu il primo a scoperchiare gli affari
del clan dei Casalesi. Quando scelse di collaborare con la giustizia, sua figlia
Giuseppina gli lanciò una terribile condanna, forse persino più letale di una condanna a
morte. Scrisse infatti parole di fuoco ad alcuni giornali:
"È un grande falso, bugiardo, cattivo e ipocrita che ha venduto i suoi fallimenti.
Una bestia. Non è mai stato mio padre. Io non so neanche cosa sia la camorra."