Page 146 - Gomorra
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confidenza. La telecamera filmò mentre si sedevano a tavola e una vecchietta minuta
            apriva  il  polistirolo  della  scatola  di  mozzarella.  Mangiarono  con  gusto.  Vodka  e
            mozzarella.  Non  volle  perdere  neanche  questa  scena,  Mariano,  e  infatti  piazzò  la
            telecamera  a  capotavola  riprendendo  tutto.  Voleva  una  prova  certa  del  generale
            Kalashnikov  che  mangiava  le  mozzarelle  del  caseificio  del  boss  per  cui  lavorava.
            L'obiettivo  posato  sulla  tavola  riprendeva  in  lontananza  un  mobiletto  con  le  foto
            incorniciate di bambini. Anche se volevo che quel video terminasse il prima possibile

            avendo già un insopportabile mal di mare, non riuscii a trattenere la curiosità:

                 "Mariano, ma tutti quei figli e nipoti ha Kalashnikov?"
                 "Macché figli! Sono tutti figli di gente che gli manda le foto dei bambini che si
            chiamano  come  lui,  gente  magari  che  si  è  salvata  grazie  a  un  suo  mitra  o  che

            semplicemente lo ammira...".

                 Come  i  chirurghi  che  ricevono  le  foto  dei  bambini  che  hanno  salvato,  guarito,
            operato  e  le  incorniciano  posandole  sulle  mensole  dei  loro  studi  a  memento  dei
            successi della loro professione, così il generale Kalashnikov aveva nel salotto di casa
            le foto dei bambini che portavano il nome della sua creatura. Del resto, un cronista
            italiano  in  Angola  aveva  intervistato  un  noto  guerrigliero  del  Movimento  di

            Liberazione che aveva dichiarato: "Ho chiamato mio figlio Kalsh perché è sinonimo di
            libertà".

                 Kalashnikov  è  un  vecchio  di  ottantaquattro  anni  arzillo  e  ben  conservato.  Lo
            invitano  ovunque,  una  sorta  di  icona  mobile  sostitutiva  del  fucile  mitragliatore  più
            celebre  al  mondo.  Prima  di  andare  in  pensione  come  generale  di  corpo  d'armata

            percepiva uno stipendio fisso di cinquecento rubli, all'epoca più o meno un mensile di
            cinquecento  dollari.  Se  Kalashnikov  avesse  avuto  la  possibilità  di  brevettare  il  suo
            mitra in Occidente, ora sarebbe sicuramente tra i più ricchi al mondo. Si calcola - con
            cifre approssimate per difetto - che oltre centocinquanta milioni di mitra della famiglia
            del kalashnikov siano stati prodotti, tutti partendo dal progetto originario del generale.
            Sarebbe bastato che per ogni mitra avesse ricevuto un dollaro e ora galleggerebbe nel
            danaro. Ma questa tragica mancanza di soldi non lo turbava affatto, lui aveva generato

            la  creatura,  le  aveva  impresso  il  suo  soffio,  e  questo  sembrava  essere  condizione
            sufficiente di appagamento. O forse un profitto economico lo aveva, in realtà. Mariano
            mi  aveva  raccontato  che  gli  ammiratori  gli  versavano  danaro  ogni  tanto:  omaggi  di
            capitale, migliaia di dollari sul suo conto, doni preziosi dall'Africa, si parlava di una
            maschera tribale d'oro regalatagli da Mobutu e di un baldacchino d'avorio intarsiato

            inviatogli  da  Bokassa;  dalla  Cina  invece  si  diceva  gli  fosse  arrivato  addirittura  un
            treno, con tanto di locomotore e vagoni, donatogli da Deng Xiaoping che sapeva delle
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