Page 142 - Gomorra
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Mio  padre  mi  guardò  con  la  solita  delusa  espressione,  come  dire  che  ormai
            neanche scherzando mi avrebbe sentito dire ciò che avrebbe voluto ascoltare. Avevo
            sempre l'impressione che mio padre fosse in guerra con qualcuno. Come se dovesse
            svolgere una battaglia con alleanze, precauzioni, macchinoni. Andare in un albergo due
            stelle  per  mio  padre  era  come  perdere  prestigio  verso  qualcuno.  Come  se  dovesse
            rendere conto a un'entità che l'avrebbe punito con violenza se non avesse vissuto nella

            ricchezza e con un atteggiamento autoritario e buffonesco.

                 "Il migliore, Robbe', non deve avere bisogno di nessuno, deve sapere certo, ma
            deve anche fare paura. Se non fai paura a nessuno, se nessuno guardandoti non si mette
            soggezione, allora in fondo non sei riuscito a essere veramente capace."


                 Quando andavamo a mangiare fuori, nei ristoranti si sentiva infastidito dal fatto che
            spesso i camerieri servivano, anche se entravano un'ora dopo di noi, alcuni personaggi
            della  zona.  I  boss  si  sedevano  e  dopo  pochi  minuti  ricevevano  tutto  il  pranzo.  Mio
            padre li salutava. Ma tra i denti strideva la voglia di avere il loro medesimo rispetto.
            Rispetto  che  consisteva  nel  generare  eguale  invidia  di  potenza,  eguale  timore,
            medesima ricchezza.


                 "Li vedi quelli. Sono loro che comandano veramente. Sono loro che decidono tutto!
            C'è chi comanda le parole e chi comanda le cose. Tu devi capire chi comanda le cose,
            e fingere di credere a chi comanda le parole. Ma devi sempre sapere la verità in corpo
            a te. Comanda veramente solo chi comanda le cose." I comandanti delle cose, come li
            chiamava mio padre erano seduti al tavolo. Avevano deciso della sorte di queste terre

            da sempre. Mangiavano assieme, sorridevano. Negli anni poi si sono scannati tra loro,
            lasciando scie di migliaia di morti, come ideogrammi dei loro investimenti finanziari. I
            boss  sapevano  come  rimediare  allo  sgarbo  d'essere  serviti  per  primi.  Offrivano  il
            pranzo a tutti i presenti nel locale. Ma solo dopo essersene andati, temendo di ricevere
            ringraziamenti  e  piaggerie.  Tutti  ebbero  il  pranzo  pagato,  tranne  due  persone.  Il
            professore Iannotto e sua moglie. Non li avevano salutati, e loro non avevano osato
            offrirgli il pranzo. Ma gli avevano fatto dono, attraverso un cameriere, di una bottiglia

            di limoncello. Un camorrista sa che deve curarsi anche dei nemici leali poiché sono
            sempre più preziosi di quelli nascosti. Quando dovevo ricevere un esempio negativo
            mio  padre  mi  additava  il  professor  Iannotto.  Erano  stati  a  scuola  insieme.  Iannotto
            viveva in fitto, cacciato dal suo partito, senza figli, sempre incavolato e mal vestito.
            Insegnava al biennio di un liceo, lo ricordo sempre a litigare con i genitori che gli

            chiedevano  a  quale  suo  amico  mandare  i  figli  a  ripetizione  privata  per  farli
            promuovere. Mio padre lo considerava un uomo condannato. Un morto che camminava.
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