Page 144 - Gomorra
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perché qui con la volontà non si muta nulla. Non è una decisione che riesce a portarti
            via da un problema, non è una presa di coscienza, un pensiero, una scelta, che davvero
            riescono a darti la sensazione di star agendo nel migliore dei modi. Qualunque sia la
            cosa da fare, sarà quella sbagliata per qualche motivo. Questa è la vera solitudine.

                 Il piccolo Nico era tornato a ridere. Micaela ha più o meno la stessa mia età. Anche
            a lei, quando confessava di andare in Italia, di andarsene via, avranno fatto gli auguri

            senza  chiederle  nulla,  senza  sapere  se  andava  a  far  la  puttana,  la  sposa,  la  colf,  o
            l'impiegata. Non sapendo altro che andava via. Condizione sufficiente di fortuna. Nico
            però  ovviamente  non  pensava  a  nulla.  Serrava  la  bocca  all'ennesimo  frullato  che  la
            madre gli dava per ingozzarlo. Mio padre per farlo mangiare gli pose il pallone vicino
            ai piedi, Meo lo calciò con tutta la forza. La palla rimbalzò su ginocchia, tibie, punte di

            scarpe,  di  decine  di  persone.  Mio  padre  iniziò  a  rincorrerla.  Sapendo  che  Nico  lo
            guardava, finse goffamente di dribblare una suora, ma la palla gli scappò nuovamente
            dai piedi. Il piccolo rideva, le centinaia di caviglie che vedeva distendersi dinanzi agli
            occhi  lo  facevano  sentire  in  una  foresta  di  gambe  e  sandali.  Gli  piaceva  vedere  il
            padre,  nostro  padre,  affaticare  la  sua  pancia  per  prendere  quel  pallone.  Cercai  di
            alzare la mano per salutarlo, ormai un muro di carne l'aveva bloccato. Sarebbe rimasto
            ingorgato per una buona mezz'ora. Inutile aspettare. Era davvero tardi. La sagoma non

            si intuiva neanche più, ormai era stata inghiottita sin nello stomaco della folla.

                 Mariano era riuscito a incontrare Michail Kalashnikov. Era stato un mese in giro
            per l'est Europa. Russia, Romania, Moldavia: una vacanza premio regalata dai clan. Lo
            rividi proprio in un bar a Casal di Principe. Lo stesso bar di sempre. Mariano aveva un
            grosso pacco di fotografie legate con l'elastico come fossero figurine Panini pronte allo

            scambio.  Erano  ritratti  di  Michail  Kalashnikov  autografati  con  dediche.  Prima  di
            ripartire,  si  era  fatto  stampare  decine  e  decine  di  copie  di  una  foto  di  Kalashnikov
            ritratto  nella  divisa  di  generale  dell'Armata  Rossa,  con  al  petto  una  cascata  di
            medaglie:  l'ordine  di  Lenin,  la  medaglia  d'onore  della  Grande  guerra  patriottica,  la
            medaglia dell'Ordine della Stella Rossa, quella dell'Ordine della Bandiera Rossa del
            Lavoro. Mariano era riuscito a raggiungerlo grazie alle indicazioni di alcuni russi che
            facevano affari con i gruppi del casertano, e proprio da questi era stato presentato al

            generale.

                 Michail Timofeevic Kalashnikov viveva in un appartamento in fitto in un piccolo
            paese ai piedi degli Urali, Izhevsk-Ustinov, che sino al 1991 non era neanche registrato
            sulla  carta  geografica.  Era  uno  dei  numerosi  territori  tenuti  segreti  dall'URSS.

            Kalashnikov era la vera attrazione della città. Avevano fatto per lui un collegamento
            diretto con Mosca, ormai era divenuto una sorta di attrazione turistica per turisti d'elite.
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