Page 145 - Gomorra
P. 145
Un albergo vicino a casa sua, dove aveva dormito Mariano, faceva affari d'oro
ospitando tutti gli ammiratori del generale che attendevano in città il suo ritorno da
qualche tour in giro per la Russia, o semplicemente aspettavano di essere ricevuti.
Mariano era entrato con la telecamera raccolta nel palmo della mano nella casa del
generale Kalashnikov e di sua moglie. Il generale gliel'aveva consentito, chiedendogli
solo di non rendere pubblico il filmato, e Mariano ovviamente aveva annuito sapendo
soprattutto che colui che aveva mediato tra lui e Kalashnikov conosceva il suo
indirizzo, il numero di telefono e la sua faccia. Mariano si presentò dal generale con un
cubo di polistirolo chiuso da uno scotch pieno di facce di bufala stampate sopra. Era
riuscito a conservare nel cofano della macchina questa scatolona con delle mozzarelle
di bufala dell'agro aversano immerse nel latte.
Mariano mi mostrava il filmino della sua visita a casa Kalashnikov nel piccolo
monitor che si apriva al lato della telecamera. Il video saltava, le immagini si
agitavano, i volti ballavano, le zoomate deformavano occhi e oggetti, l'obiettivo
sbatacchiava contro pollici e polsi. Pareva il video di una gita scolastica girato mentre
si salta e corre. La casa di Kalashnikov somigliava alla dacia di Gennaro Marino, o
forse era semplicemente una classica dacia, ma l'unica che avessi mai visto era
appunto quella del boss scissionista ad Arzano, e quindi mi pareva una costruzione
gemella. La casa della famiglia Kalashnikov aveva le pareti tappezzate di riproduzioni
di Vermeer, e i mobili erano stracolmi di gingilli in cristallo e legno. Il pavimento era
completamente rivestito di tappeti. A un certo punto del filmato il generale mise la
mano davanti all'obiettivo. Mariano mi raccontò che zompettando con la telecamera, e
munito di una buona dose di maleducazione, era finito per entrare in una stanza che
Kalashnikov non voleva in nessun modo fosse ripresa nel video. In uno stipo di metallo
appeso alla parete, ben visibile oltre il vetro blindato, era conservato il primo modello
di kalashnikov, il prototipo costruito dai disegni che - secondo la leggenda - il vecchio
generale (allora sconosciuto sottufficiale) aveva tracciato su fogliacci di carta mentre
era in ospedale, ferito da una pallottola e voglioso di creare un'arma che avrebbe reso
invincibili i soldati infreddoliti e affamati dell'Armata Rossa. Il primo AK-47 della
storia, tenuto nascosto come il primo cent guadagnato da zio Paperone, la famosa
"number otte" sotto la teca blindata, la Numero Uno tenuta lontano in maniera ossessiva
dalle grinfie dei Bassotti. Non aveva prezzo, quel modello. Per avere quella sorta di
reliquia militare molti avrebbero davvero dato ogni cosa. Appena Kalashnikov morirà,
finirà con l'essere battuta all'asta da Christie's, come le tele di Tiziano e i disegni di
Michelangelo.
Mariano quel giorno stazionò rutta la mattinata a casa dei vecchi Kalashnikov. Il
suo presentatore russo doveva essere davvero influente, se il generale gli diede tanta