Page 80 - Amici come prima. Storie di mafia e politica
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IV. Mamma Regione
Tutti dipendenti
Il triplo della Lombardia. Quattro volte di più di quelli dell'Emilia Romagna
e della Toscana. In Sicilia i dipendenti della Regione sono un vero e proprio
esercito: oltre 20.000, senza contare il personale degli enti economici
regionali, delle aziende per il turismo, delle Ipab, dei consorzi di bonifica. A
questi vanno aggiunti altri circa ventimila lavoratori a tempo parziale al
servizio del demanio forestale e le altre migliaia di precari dell'art. 23,
definiti cosi in riferimento al numero dell'articolo della legge finanziaria
dello Stato del 1992, grazie al quale sono stati assunti, ma che, da anni,
vengono pagati dalle casse regionali.
Negli anni passati, gran parte di questi lavoratori sono entrati in
Regione per chiamata diretta, senza concorso, molti per grazia ricevuta,
ovviamente da questo o quel politico di turno. Un'intera città, Palermo, con
i suoi circa 700.000 abitanti, vive prevalentemente di questa economia e
sono tante le famiglie in cui arriva lo stipendio di un regionale.
Diventare dipendente della Regione è stato e continua a essere
l'obiettivo di intere generazioni alla ricerca di sicurezza economica,
certezza del posto di lavoro, protezione politica.
Questo tipo di Regione, la sua costruzione politico-clientelare, la sua
presenza ramificata sul territorio fatta di delegazioni, uffici, sportelli e sedi
diffuse in tutta l'isola, è stato uno dei pilastri del sistema di potere
imperniato sulla Democrazia cristiana. Un sistema con una forte
componente parassitaria, in cui l'aggettivo «pubblico» - dal lavoro agli
appalti, dai servizi sociali ai finanziamenti alle imprese - ha subito
progressivamente una metamorfosi con la degenerazione del suo
significato, trasformandosi, nella percezione dell'opinione pubblica, da
servizio per la collettività a forma di scambio e di gestione privatistica degli
interessi e del rapporto tra i cittadini e l'amministrazione regionale.
Per decenni la Sicilia ha rappresentato davvero, e per alcuni versi
continua a rappresentare ancora oggi, un residuo di «socialismo reale»
senza ideologia, se non quella dello scambio e del favore clientelare, con
una gestione centralista e statalista del rapporto tra l'amministrazione
pubblica, la società e l'economia che, nel corso degli anni, ha snaturato
anche le ragioni stesse di una conquista democratica come lo Statuto