Page 38 - Amici come prima. Storie di mafia e politica
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momento non sarà più possibile prosciogliere un imputato in istruttoria con
          la formula dell'insufficienza di prove.
              Al  professore  tanto  basta,  non  fa  ricorso  in  appello  per  avere  un
          proscioglimento pieno e la riabilitazione a tutti gli effetti della sua onestà.

          Cosi,  come  molto  spesso  accade  in  Sicilia,  la  vicenda  cade  nel
          dimenticatoio.
              Passata la bufera della sua elezione, nuovi arresti e nuove rivelazioni
          riportano alla luce storie che continuano a coinvolgerlo direttamente.

              A  metà  giugno  del  1997,  viene  arrestato  il  fratello  del  campiere  e
          reggente di tutti i terreni e delle proprietà del presidente nel territorio di
          Corleone.  Si  tratta  di  Rosario  Lo  Bue,  un  uomo  di  fiducia  di  Bernardo
          Provenzano,  il  quale  -  secondo  alcuni  collaboratori  di  giustizia  -  dopo

          l'arresto del cognato di Totò Riina Leoluca Bagarella, lo vorrebbe a capo
          della  famiglia  mafiosa  di  Corleone,  quindi  di  una  delle  cosche  più
          importanti della Sicilia.
              I  due  fratelli  vivono  assieme,  condividono  attività  economiche  e

          imprenditoriali. Uno cura le campagne del presidente della Regione, l'altro
          è  il  reggente  di  decine  e  decine  di  ettari  di  terreno  di  proprietà  di  Totò
          Riina.
              La vicenda viene amplificata dalla stampa e si apre un'altra crisi politica

          che creerà sofferenza anche in larghi settori del centrodestra; soprattutto
          in quella parte di Alleanza nazionale, da sempre vicina alla magistratura,
          che  in  Sicilia  ha  tra  i  suoi  simboli  un  magistrato  integerrimo,  e  in  vita
          sempre legato al vecchio Msi, come Paolo Borsellino.

              Ancora  una  volta  le  strade  e  gli  interessi  dei  due  Provenzano  si
          incrociano.
              Il  presidente,  a  seguito  di  questi  fatti,  si  trova  ad  affrontare  una
          mozione  di  sfiducia  presentata  in  parlamento  da  tutte  le  opposizioni  di

          centrosinistra  e  si  difende  dichiarando  che  a  Corleone  la  sua  famiglia  e
          quella dei Lo Bue hanno rapporti dai tempi dell'Unità d'Italia e lui stesso
          non ha mai saputo o sospettato dei rapporti e delle attività mafiose dei
          suoi dipendenti e dei gestori delle sue proprietà. Afferma di non conoscere

          neanche quello che a Corleone conoscono tutti e che, come in ogni paese
                                                                                       19
          di mafia, non c'è bisogno dei magistrati per potere sapere .
              I l non  sapevo  e non  potevo  esserne  a  conoscenza  saranno  le

          espressioni più usate dal presidente nei due anni di scontri politici e accuse
          pubbliche  dalle  quali  sarà  costretto  a  difendersi  in  parlamento  e  sulla
          stampa.  Non  pronuncia  mai,  però,  parole  di  dissociazione  o  di  presa  di
          distanza. Lo fa con una freddezza impressionante, a differenza degli altri
          esponenti  di  Forza  Italia  che  reagiscono  nervosamente  e  accusano  la

          sinistra di giustizialismo e stalinismo.
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