Page 37 - Amici come prima. Storie di mafia e politica
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proscioglimento,  seguito  all'arresto  e  ad  alcuni  mesi  di  carcere,  deciso
          dall'allora giudice istruttore, Giuseppe Di Lello. Non lo fa a caso. Di Lello,
          con  Falcone,  Borsellino  e  Guarnotta,  ha  fatto  parte  del  primo  pool  di
          magistrati  antimafia  creato,  dopo  l'omicidio  del  giudice  istruttore  Rocco

          Chinnici,  dal  nuovo  capo  dell'Ufficio  istruzione  del  Tribunale  di  Palermo,
          Antonino Caponnetto.
              Di  Lello  è  un  magistrato  rigoroso,  da  sempre  impegnato  sul  fronte
          antimafia. Eletto alla Camera nelle liste dei Progressisti nel 1994, sarà il

          primo  firmatario  e  il  relatore  nell'aula  parlamentare  della  legge  per  la
          confisca e il riutilizzo sociale dei beni mafiosi e uno dei primi effetti della
          sua legge, per uno strano scherzo del destino, sarà proprio la confisca di
          quel  fondo  Latomie,  acquistato  dal  professore  per  conto  della  moglie  di

          Bernardo Provenzano e ora consegnato a una cooperativa di giovani che vi
          produce l'olio «Libera».
              Quando Giuseppe Provenzano viene eletto presidente della Regione, il
          giudice  che  lo  ha  prosciolto  e  fatto  uscire  dal  carcere  è  parlamentare

          europeo di Rifondazione comunista, il partito che ne chiede le dimissioni e
          ha  costruito  una  vera  e  propria  campagna  politica  sulle  vicende  che  lo
          vedono coinvolto.
              Però, nonostante si trinceri dietro le ragioni del suo proscioglimento, il

          presidente rifiuta di rendere pubblica la sentenza scritta da Di Lello, come
          gli viene richiesto da tutte le forze dell'opposizione.
              Alla fine, in una tumultuosa seduta dell'Assemblea regionale, convocata
          dopo  le  ennesime  rivelazioni  di  alcuni  collaboratori  di  giustizia  che

          continuano a denunciare rapporti tra altri esponenti mafiosi e il presidente,
          sarò  io,  allora  capogruppo  di  Rifondazione  comunista  nel  parlamento
          siciliano,  a  leggere  in  aula  quasi  integralmente  la  sentenza  di
          proscioglimento firmata dal giudice Di Lello. Soprattutto le parti nelle quali

          vengono raccontati e confermati i fatti e le relazioni tra l'allora professore e
          la moglie del boss e il dispositivo finale nel quale il giudice scrive: «Emerge
          chiaramente  che  l'imputato  era  entrato  in  contatto  con  la  Palazzolo
          attraverso il padre e che quest'ultimo doveva essere ben consapevole della

          provenienza  illecita  del  denaro  della  Palazzolo,  ovvero  di  Bernardo
          Provenzano  [...]».  La  sentenza,  citando  il  rapporto  investigativo  dei
          carabinieri, continua affermando che pertanto «Giuseppe Provenzano è da
          ritenersi una sorta di consigliere della famiglia dei corleonesi» ma conclude

          che  «non  essendoci  prove  sufficienti  della  conoscenza  da  parte  del
          Provenzano,  della  illiceità  delle  somme,  si  reputa  conforme  a  giustizia
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          prosciogliere l'imputato» .
              La sentenza viene emessa il 23 novembre del 1989, l'ultimo giorno utile

          prima dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale. Da quel
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