Page 36 - Amici come prima. Storie di mafia e politica
P. 36
Londra nell'omicidio di Roberto Calvi, raccontano che a un certo punto
Bernardo Provenzano decide di rendere autonoma l'amministrazione dei
propri beni da quelli di Totò Riina, e cerca un altro amministratore e
consulente finanziario, non fidandosi più pienamente di Pino Mandalari.
Ha bisogno di uomo di fiducia, riservato, discreto, sul quale non vi siano
troppi sospetti, in grado di immettere i suoi soldi nel circuito delle attività
legali e di renderli redditizi attraverso investimenti e creazione di nuove
società. Lo trova nel professore Giuseppe Provenzano, che è già titolare di
uno studio di commercialista e di consulenze finanziarie tra i più affermati
di Palermo.
Il padre presenta al professore una signora austera, discreta,
ufficialmente di professione camiciaia e nullatenente, come scrive lei
stessa nella dichiarazione dei redditi. Tra i due inizia un rapporto di
collaborazione fiduciaria, con la signora che chiede al professore consigli
per investimenti e operazioni bancarie, acquisti di appartamenti e terreni
per centinaia di milioni di allora, i primi anni '80.
La camiciaia è la moglie del boss Bernardo Provenzano, già da vent'anni
latitante. Lei vive lunghi periodi col marito, per mesi è uccel di bosco,
nessuno sa dove si trovi e come rintracciarla, ma incontra regolarmente il
professore, si reca nel suo studio, gli consegna milioni e milioni in
banconote, tratta con lui l'acquisto di un fondo per 169 milioni, in contrada
Latomie, a Castelvetrano. Fondo che, alla fine, verrà acquistato per conto
terzi, cioè per conto della moglie del boss, direttamente dal padre del
professore.
Il commercialista non si pone alcuna domanda sulla provenienza dei
soldi, né si chiede chi sarà mai questa povera camiciaia nullatenente che
discute con lui di investimenti, acquisti di case e terreni, creazione di
società. Il professore la fa entrare nel consiglio di amministrazione di una
grossa società di costruzioni e arriva a condividerne il conto corrente
bancario, fino a utilizzarlo direttamente con la sua firma - Giuseppe
Provenzano - per una serie di operazioni di investimento in società
riconducibili - secondo la sentenza del giudice - alla famiglia mafiosa del
famoso boss Michele Greco, il capo della «cupola» mafiosa fino ai primi
anni '80, noto come il «papa» di Cosa nostra.
Nella stessa inchiesta, vengono svelati i rapporti tra Giuseppe
Provenzano e i fratelli De Simone di Castelvetrano, arrestati alcuni anni
dopo con l'accusa di essere i custodi del famoso tesoro di Riina, centinaia
di lingotti d'oro che verranno ritrovati interrati nella loro campagna, sempre
17
vicino a Castelvetrano, in provincia di Trapani .
Quando all'Assemblea regionale siciliana esplode ufficialmente il
«caso», il neopresidente della Regione si trincera dietro le ragioni del suo