Page 23 - Amici come prima. Storie di mafia e politica
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segnato i comportamenti della società civile nel decennio precedente, si
sostituisce una sorta di silenzio sociale.
Non si reagisce e non ci si indigna neanche il 25 luglio del 2003, quando
viene resa pubblica la sentenza del processo di appello contro il senatore
Giulio Andreotti.
I giudici del Tribunale di Palermo, assolvendolo per prescrizione del
reato, essendo passati più di venti anni, consegnano le sue colpe al
«giudizio della storia». Utilizzano una formula francamente
incomprensibile, soprattutto se messa in relazione a quanto scrivono nella
sentenza, per esempio quando affermano che «la sua fu una vera e propria
partecipazione all'associazione mafiosa [...] il senatore ha avuto piena
consapevolezza che i suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti
con i boss mafiosi; ha quindi a sua volta coltivato amichevoli relazioni con
gli stessi boss [...] ha loro chiesto favori, li ha incontrati, ha interagito con
essi». Addirittura, secondo i giudici, il Senatore tentò di fermare,
dall'interno dell'organizzazione mafiosa, l'omicidio del presidente della
Regione Piersanti Mattarella e il non esserci riuscito lo portò alla rottura
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con Cosa nostra . Pur di segnare una svolta rispetto alla gravità delle
responsabilità precedenti e motivarne per questo l'assoluzione, i giudici
palermitani omettono di dire che, dopo un attacco alle istituzioni di quel
livello - per la prima volta nella storia del paese viene ucciso un presidente
di Regione - lo Stato non poteva fare a meno di reagire e i comportamenti
di Andreotti, al di là della sua volontà, non potevano che essere vincolati a
questa reazione delle istituzioni.
In altri tempi, una sentenza con tali affermazioni avrebbe provocato un
terremoto politico, trattandosi di un uomo che nella sua vita è stato sette
volte presidente del Consiglio, più volte ministro e, contemporaneamente,
secondo la sentenza, organico ai boss di Cosa nostra.
Invece non ci sarà alcuna reazione, pochi commenti sui quotidiani
nazionali, qualche intervista ad Andreotti, ovviamente soddisfatto
dell'assoluzione, e alcune dichiarazioni del giudice Giancarlo Caselli,
divenuto nel frattempo procuratore generale a Torino, che invece,
giustamente, vede confermato l'impianto del processo e il lavoro dei
magistrati della sua ex procura.
Nessun commento e nessuna polemica esplode in Sicilia, dove gli eredi
della stagione politica e della De di cui scrivono i giudici del Tribunale di
Palermo ricoprono tutti incarichi e responsabilità di governo o istituzionali
nell'isola o a livello nazionale.
Da tempo, nel mondo politico, soprattutto a destra, ogni giudizio
espresso dalla magistratura si vive con impaccio e fastidio, come un
continuo sconfinare in campi non propri, anche quando si tratta di sentenze