Page 18 - Amici come prima. Storie di mafia e politica
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vigneto, la testa mozzata di un cane da far trovare sull'uscio di casa, che
          colpiscono sindaci e assessori dei comuni a guida progressista.
              Dopo il suo «pentimento», Giovanni Brusca, l'uomo che ha premuto il
          telecomando della strage di Capaci, rivendicherà la regia e la realizzazione

          di questa campagna voluta da Riina e Bagarella.
              Una  campagna  che  avrà  successo,  riuscendo  a  intimidire  anche  una
          parte di quell'opinione pubblica che, almeno nel segreto dell'urna, si era
          liberata dalla paura e dall'ipoteca mafiosa, contribuendo col proprio voto

          all'elezione dei nuovi sindaci.
              I primi segnali di svolta non si fanno attendere.
              Si  sente  che  il  vento  sta  cambiando  e,  naturalmente,  il  nuovo  clima
          politico-sociale determina un adeguamento e un cambiamento anche nelle

          strategie e nelle relazioni tra mafia e politica.

              Dopo la caduta del primo governo Berlusconi, nel 1995, in Sicilia i partiti
          del Polo scelgono la strada dell'insediamento e del radicamento capillare

          nel territorio. Sanno che nell'isola il terreno è fertile, che le istanze dello
          scambio  politico  mafioso  vivono  nel  ventre  molle  della  società  e  sono
          decisive per determinare gli equilibri politici e il consenso elettorale.
              Comune per comune, i costruttori di Forza Italia e del Polo recuperano

          tutto il vecchio personale politico apparentemente evaporato allo scoppio
          delle  prime  inchieste  della  magistratura.  Riallacciano  rapporti  con  gli
          esponenti  di  quelle  classi  dirigenti  locali  e  con  quella  rete  di  uomini
          rappresentativi di un sistema di potere diffuso sul territorio che da sempre,

          in Sicilia, rappresentano interessi di frontiera con quelli di Cosa nostra.
              Per il centrodestra la lotta alla mafia non è mai stata una priorità né
          una discriminante. Per molti di loro di mafia non bisogna più parlare, anzi,
          per uscire dall'ubriacatura giustizialista, ritengono che bisogna tornare ai

          tempi in cui la mafia era considerata, più o meno, una normale forma di
          criminalità, nonostante quello che, di contro, scrivevano le relazioni delle
          commissioni parlamentari Antimafia.
              Basta rileggere le interviste rilasciate dal coordinatore di Forza Italia,

          Gianfranco Miccichè, per ritrovare questa linea costante di definizione della
          nascente identità del partito in Sicilia.
              Affermare  che  con  i  loro  comportamenti  e  le  loro  proposte  -  dalle
          riforme  della  giustizia  ai  condoni  fiscali  alle  sanatorie  edilizie  -  mandino

          messaggi ambigui è solo un eufemismo. Di fatto, proprio in questi anni, si
          riapre un'interlocuzione politica che arriva fin dentro le carceri e incontra il
          favore  dei  molti  avvocati  che  militano  tra  le  fila  di  Forza  Italia  e  del
          centrodestra e che sono quasi tutti difensori dei boss mafiosi.

              Per  il  Polo,  in  Sicilia,  questa  scelta  rappresenterà  un  investimento
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