Page 19 - Amici come prima. Storie di mafia e politica
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politico di valore strategico.
              Caduto  il  primo  governo  Berlusconi,  i  governi  dell'Ulivo  -  da  Prodi  a
          D'Alema  ad  Amato  -  si  susseguono  deludendo  le  attese  che  avevano
          suscitato con la vittoria elettorale del 1996.

              Anche  per  il  centrosinistra  la  mafia  non  è  più  un'emergenza  e  una
          priorità  né  dal  punto  di  vista  della  legislazione  della  giustizia  né  per
          l'azione sociale. Anzi, verso il Mezzogiorno si sceglie una politica imperniata
          sul  primato  delle  imprese,  la  precarizzazione  e  la  flessibilizzazione  del

          mercato  del  lavoro.  Scelte  che  mal  si  conciliano  con  il  rigore  della
          trasparenza e la legalità, soprattutto se, invece che i controlli, anche nel
          sistema  degli  appalti  si  privilegiano  lo  snellimento  delle  procedure,  il
          silenzio assenso, le deroghe alle normative urbanistiche come condizione

          per  incentivare  gli  investimenti  e  l'insediamento  delle  imprese  al  Sud.
          Come  se  la  mafia  non  fosse  interna  e  organica  al  sistema  di  imprese  e
          queste nuove normative non la favorissero direttamente.
              I  governi  dell'Ulivo  non  riusciranno  neanche  a  onorare  l'impegno

          solenne preso sul colle di Portella della Ginestra, il 1° maggio del 1997, dal
          vicepresidente  del  consiglio,  Walter  Veltroni,  nel  cinquantesimo
          anniversario  della  strage  compiuta  dalla  banda  di  Salvatore  Giuliano:
          l'abolizione  del  segreto  di  Stato  su  quella  prima  strage  politico-mafiosa

          della storia dell'Italia repubblicana.
              Dopo mezzo secolo, e nonostante la presenza al Viminale di un ministro
          dell'Interno  ex  comunista  come  Giorgio  Napolitano,  il  segreto  di  Stato
          rimane ancora intoccabile, a tutela dei mandanti politici e istituzionali della

          strage  e  dei  rapporti  saldati  al  momento  dello  sbarco  degli  alleati,  nel
          1944, tra i vertici dell'amministrazione statunitense e i capimafia al servizio
          del blocco agrario e del patto tra questo e la Dc in funzione anticomunista.
              Ovviamente,  non  è  l'unico  segnale  di  arretramento  che  giunge  dal

          centrosinistra. Completano il quadro il clima, definito da «inciucio», che si
          determina  tra  centrodestra  e  centrosinistra,  attorno  alla  commissione
          Bicamerale per le riforme istituzionali presieduta da Massimo D'Alema e le
          piroette  di  Luciano  Violante,  nel  frattempo  diventato  presidente  della

          Camera,  che,  tra  il  1996  e  il  1999,  non  perde  occasione  per  provare  a
          riscattarsi dal suo marchio di «giustizialista», prendendo le distanze dalle
          procure di Milano e di Palermo.
              La società civile che, con i suoi movimenti e le sue associazioni, dopo le

          stragi  del  1992  era  stata  protagonista  del  risveglio  politico  e  sociale  di
          Palermo e della Sicilia, comincia a rifluire. Nella seconda metà degli anni
          '90, la fine del «decennio breve» è già scritta: molti sindaci progressisti al
          termine del loro mandato vengono sconfitti e i loro comuni conquistati da

          sindaci e amministratori del centrodestra.
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