Page 114 - Amici come prima. Storie di mafia e politica
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Che gli uomini della mafia non portino più le vecchie coppole si sa da anni,
almeno da quando i «viddani» da Corleone scesero in città e, manu
militare, decisero di trattare alla pari con la politica per gestire i grandi
appalti e la cementificazione del sacco di Palermo. Ma fa comunque un
certo effetto leggere un documento scritto dai carabinieri del Ros di
Palermo in cui si afferma: «È stato davvero sconcertante scoprire che tanti
professionisti, soprattutto medici, si siano relazionati con Cosa nostra in
maniera cosi naturale, tanto da far riflettere sull'impegno complessivo che
la classe borghese della città intende realmente profondere in direzione
della lotta alla criminalità organizzata».
Potrebbe essere un documento scritto da coloro che, da sinistra,
teorizzano l'esistenza di una borghesia mafiosa collusa con Cosa nostra,
invece è la conclusione del rapporto che i carabinieri inviano alla procura
della Repubblica di Palermo, sulla base del quale, dopo tre anni di indagini,
partono le richieste di arresto per boss, fiancheggiatori, politici.
Ancora una storia di medici e mafia, di politica e sanità, questa volta
pubblica, perché la mafia, quando c'è da conquistare potere e accumulare
ricchezza, non fa differenze tra pubblico e privato.
È il 29 giugno del 2003 e il presidente della Regione, Cuffaro, riceve il
suo primo avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa.
La notizia è scioccante. In cinquant'anni non è mai successo che un
presidente in carica fosse chiamato a difendersi per un reato cosi grave.
Al centro dell'inchiesta ancora camici bianchi: il medico Mimmo Miceli,
assessore al comune di Palermo e presidente della società regionale
Multiservizi, uomo fidato e collega di partito del presidente della Regione e
il chirurgo del Policlinico Giuseppe Guttadauro.
Guttadauro non è un medico qualsiasi: per volontà di Bernardo
Provenzano, ha preso il posto di Filippo Graviano alla guida del
mandamento mafioso di Brancaccio.
Provenzano vuole chiudere definitivamente la stagione terroristica
imposta a Cosa nostra da Totò Riina e ha bisogno di insediare alla guida
dei mandamenti più importanti di Palermo e della provincia uomini che
rappresentino la nuova linea e i nuovi interessi politico-finanziari
dell'organizzazione.
Nella città e nella geografia del potere di Cosa nostra, Brancaccio è un
quartiere importante: vi resiste ancora l'ultimo residuo di area industriale e
commerciale, anche se il quartiere continua a essere degradato, come il
suo sbocco a mare, la zona di Romagnolo e via Messina Marine, dove,
durante la guerra di mafia degli anni '80, i corleonesi avevano realizzato la
camera della morte nella quale prima torturavano e poi scioglievano
nell'acido i corpi dei nemici.